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Il Senato sarà l’arena fatale di un governo sempre in apnea

Per due anni Prodi ha scansato le insidie di Palazzo Madama. Ma ora il matador Mastella è pronto per il colpo finale. E anche la sinistra gioisce

Il Senato sarà l’arena fatale di un governo sempre in apnea

A lle urne subito e con la legge che abbiamo, senza inciuci, senza contorcimenti e puntando al sodo: il ritorno alla legittimazione democratica scippata per due anni da un governo fantasma e fantoccio che si è trasformato in governo dei morti viventi, uno zombi. Una stagione cupissima della storia della Repubblica sta per chiudersi con il ritorno alla democrazia, se non si faranno sconti a tutte le forze che immediatamente si sono messe in moto per stiracchiare, allungare la broda, proporre camere di compensazione e altre soluzioni mollicce ed oscure. Un’era infelice per il Paese sta forse per morire privata del suo stesso ossigeno e se le forze libere e liberali giocheranno in modo compatto e senza tentennamenti la partita, una nuova stagione può davvero cominciare riportando la democrazia prima di tutto nelle aule parlamentari e nel Senato della Repubblica, questa Camera beffata. Gli italiani dettero due anni fa una maggioranza di 400mila voti al centrodestra e si sono ritrovati con uno sputo di maggioranza di sinistra retto soltanto dalla selva di cateteri e pannoloni di senatori mai eletti dal popolo e che hanno sopraffatto la volontà del popolo. È dunque l’ora in cui si renda omaggio al Senato della Repubblica dove tutti hanno combattuto una battaglia terribile per la democrazia e non soltanto i senatori dell’opposizione.
Il Senato è stata l’arena, la plaza de toros di un’era cialtrona e confusa in cui il governo correva sbattendo accecato dal suo stesso sangue e infilzato dalle banderillas che gli eletti di palazzo Madama gli hanno vibrato senza pietà, votazione dopo votazione. Mastella, anche lui senatore, ha visto il suo partito cadere in pezzi e pronto a mollarlo se non avesse varcato il Rubicone e scelto la libertà dalla stretta di Prodi. E sarà dunque ancora in Senato che l’atto finale di un governo ferito e pericoloso dovrà consumarsi.
Una mozione di sfiducia potrebbe diventare il momento dell’espada, quando il matador è stanco e usa una lama ferma per chiudere un combattimento. In quell’emiciclo del Senato in questi lunghi mesi abbiamo assistito a scontri da corrida, fra urla da stadio, a momenti di imbarazzo terribili e di fraterna, umana comprensione per tanti onesti senatori del centrosinistra che non ne potevano e non ne possono più, ma che erano costretti a votare per un cadavere. Il governo Prodi ha sempre avuto paura del Senato e il Senato è sempre riuscito a umiliarlo, a sorprenderlo con emendamenti passati come veroniche, o con voti sferzanti come quello che umiliò persino il ministro degli Esteri costringendo Prodi a salire gli scaloni del Quirinale come dimissionario, salvo vedersi graziare da Napolitano.
La buvette del Senato e persino i suoi ascensori, per non dire dei suoi corridoi, è stato il secondo teatro del Palazzo, dopo quello rappresentato dall’aula. Quando i senatori vanno a prendere il caffè la consuetudine vuole che si spoglino dell’armatura che hanno indossato in aula e si umanizzino. E, umanizzati, dicano la verità, vuotino il sacco. Noi non saremo così scorretti da buttare in pettegolezzo le battute, i sarcasmi, le tristezze penose dei senatori della maggioranza. Persino quando i senatori compiono il rito della fila per andare al bagno come in un cinema parrocchiale degli anni Cinquanta, le facce meste e lunghe dei senatori della cosiddetta maggioranza costringevano a un compunto rispetto, come si fa quando per sbaglio si entra in una casa in lutto. Quando ho incontrato in ascensore un illustre leader del centrosinistra e gli ho chiesto come andava la vita, mi ha risposto: «E come vuoi che vada? Sostenendo il più schifoso e dannoso governo della storia d’Italia. Beati voi che almeno siete all’opposizione e potete divertirvi». Capirai, gli ho risposto, sai che divertimento.
Adesso il Senato è entrato automaticamente in lutto e questa mattina assisteremo a una sorta di rito di suicidio di massa: una grande quantità di senatori del centrosinistra sa che non tornerà più in Parlamento, e probabilmente senza maturare la famosa pensione dello scandalo, una pensione - anzi un «vitalizio» - che fu inventato proprio dal Partito comunista per compensare i compagni militanti spediti a fare i parlamentari a Roma e con l’obbligo di consegnare metà del loro stipendio al partito.
D’altra parte se si voterà subito, come speriamo in tanti, si restituirebbe anche l’onore al Parlamento per via della cupa leggenda dei due anni sei mesi e un giorno per la pensione dello scandalo e della casta. Quando fui eletto per la prima volta il 13 maggio del 2001 mi sentivo come un giornalista infiltrato in Senato. Avevo sempre visto quest’aula come un luogo elevato, colto, un po’ noioso, ben frequentato. Mi trovai in una bolgia da stadio e benché facessi parte di una maggioranza larghissima dovetti come tutti subire gli insulti quotidiani di un’opposizione cattiva, sprezzante e aggressiva. Fu una legislatura in apnea, sotto schiaffo, benché fossimo noi, sulla carta, a comandare. E quando tornai in Senato nell’aprile del 2006 pensando che avremmo quanto meno reso pan per focaccia, dovetti rendermi conto che non esisteva simmetria: noi all’opposizione saremmo stati educati, gentili, buonissimi e la maggioranza cominciò subito a inviarci segnali di loffia amicizia, per fiaccare, come fiaccò, la combattività. Ma poi venne la ripresa delle forze e cominciò un buon gioco di squadra per tenere il governo con la testa sott’acqua. Ma il governo sembrava vivere senza respirare e anziché tirare onestamente le cuoia come ci saremmo aspettati per il bene del Paese, cominciò a lottare in maniera rabbiosa, portando in aula quella specie di sorriso del gatto di Chelsea che è la dentiera del professor Padoa-Schioppa, una delle figure più imbarazzanti della storia del Parlamento, senza nulla togliere a Pecoraro Scanio o allo stesso Prodi che in Senato c’è venuto poco e sempre con il paracadute aperto per buttarsi, politicamente parlando, dalla finestra.
Ora il governo è al capolinea e bisogna costringerlo a venire in aula a palazzo Madama per stilare come si deve il certificato di morte, che è pur sempre un passo avanti rispetto alla morte apparente e comatosa in cui ha sempre finto di vivere. Io penso che tanti colleghi della maggioranza stiano in questo momento brindando, come noi. E che siano anche pronti a tornare a casa senza vitalizio, pur di rimettere l’Italia sui binari dell’efficienza, del decoro, della democrazia e della libertà. Non basterà un giorno né un mese.

Ma qualcosa di irreversibile è cominciato e adesso bisogna andare avanti verso la rivoluzione liberale, usando la strategia di Napoleone che diceva: on s’engage, apres on voit, prima si comincia la battaglia e poi ci si regola, perché è così che si vince, con coraggio e buon senso.

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