Senatori a vita sfida al ridicolo

Caro Granzotto, non le pare che al giorno d’oggi la concezione machiavellica dell’assenza della morale nella politica sia superata dalle mutate condizioni in cui essa politica si svolge? Pertanto non crede che in un ordine democratico come il nostro, certi comportamenti, se attuati, risulterebbero non solo profondamente amorali, ma altamente riprovevoli e indicativi di una scarsa o nulla coscienza civica e dello Stato, irresponsabilità e mancanza di equità, ma anche indici di presuntuosa vanagloria nell’autoproclamarsi arbitri del destino del nostro Paese conculcando senza alcuna legittimità il volere di una eventuale maggioranza?
Mi riferisco al voto dei senatori a vita: non dovrebbero avvertire quale responsabilità si assumerebbero qualora dovessero divenire determinanti nella scelta?


In un Paese normale - intendo in un Paese dove alla Casta non sia consentito di braveggiare - le buone intenzioni di Cossiga desterebbero meraviglia, caro Malossi. Escludere dal voto i senatori a vita? Che bisogno c’è? È infatti evidente che il laticlavio a vita è una attribuzione onorifica e avendone già una a carico i primi a riconoscerlo dovrebbero proprio essere gli ex capi di Stato. I quali, a fine mandato, sono meccanicamente insigniti del titolo di presidente emerito. Ma nemmeno ad un Oscar Luigi Scalfaro, eppure molto geloso dei propri privilegi (tanto da aver preteso non una, ma due auto blu avendo ricoperto la carica sia di presidente della Camera che dello Stato), verrebbe in mente di non considerarsi fuori servizio - che è poi la radice etimologica di «emerito» - e, prendendo per buona, per operante la qualifica, sostituirsi a Giorgio Napolitano. È dunque più che sufficiente il buonsenso a consigliare i senatori a vita dall’esimersi di far valere il loro status nel tempio stesso della legittimazione democratica. Confondendosi ai senatori che per avere la medaglietta hanno dovuto sottoporsi al giudizio di quel popolo che la Costituzione vuole sovrano. E che votando in aula seguitano ad assoggetarvisi accettandone le conseguenze: la rielezione o la trombatura. Tutte cose che non agitano l’animo di una Rita Levi Montalcini o di un Oscar Luigi Scalfaro i quali, vada come vada, rischi non ne corrono.
Non vorrei sembrare irriverente, ma così come lo si è pensato e voluto, il ruolo degli Scalfaro, delle Montalcini resta quello di far da tappezzeria alle istituzioni. Una sontuosa, un’ammirevole e perfino una preziosa tappezzeria, Dio ce la guardi. Ma sempre tappezzeria. Un po’ come quei marcantoni dei corazzieri che scortano il presidente della Repubblica. Indossano l’armatura, calzano il cimiero, sono cinti dalla spada: armati, quindi, di tutto punto, ma con roba buona per la disfida di Barletta. In pratica, dunque, solo scena. Scena che inopinatamente i neo senatori a vita si rifiutano di fare, forti del fatto che, causa maggioranza risicatissima, Prodi è andato a beccar loro il grano nella mano. Dalla Costituente in poi il Palazzo ne ha combinate più di Bertoldo per garantirsi la sopravvivenza e tante ne abbiamo viste, caro Malossi. Eppure, mai ci saremmo aspettati l’ultima.

E cioè che in regime democratico non solo un governo, ma una legislatura sia tenuta in vita da un drappello di parlamentari per grazia ricevuta. Faccenda che non solo umilia le istituzioni, ma sfida il ridicolo e fiacca quel poco che resta della credibilità del Paese. Perché, comunque la si giri, anche questo è made in Italy.

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