Sentenza Mills, ecco perché non vale contro il premier

La sentenza di condanna pronunciata dalla corte d’Appello di Milano nei confronti dell’avvocato britannico David Mills, non può essere utilizzata contro Silvio Berlusconi. La questione è procedurale e perciò insuperabile. Il premier non ha bisogno di tutela, né dell’«effetto spugna» sui procedimenti a suo carico del nuovo ddl presentato al Senato, qualora diventasse legge. La norma, come anticipato, prevede la prescrizione dei processi agli incensurati se la sentenza di primo grado non arriva entro i due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. E riguarda i reati con pena inferiore ai dieci anni. Al presidente del Consiglio, dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta, tuttavia non serve una legge sul processo breve per vedersi soppressa l’imputazione per corruzione del testimone Mills.
Partiamo dal reato contestato: corruzione in atti giudiziari, appunto. Un reato che tecnicamente viene definito a «condotta plurisoggettiva necessaria». Tradotto: se c’è un presunto corrotto (Mills), deve necessariamente esistere anche un ipotetico corruttore (Berlusconi). Il suo presunto coinvolgimento nella sentenza Mills è stato affrontato solo in via strumentale, perché altrimenti sarebbe stato impossibile affermare le responsabilità stesse di Mills. Siamo davanti al cosiddetto «concorso necessario». Tant’è che i giudici dell’Appello, nelle motivazioni della sentenza di condanna dell’avvocato inglese depositate mercoledì, scrivono: «Trattandosi di un reato a concorso necessario, la valutazione della condotta del soggetto rimasto in giudizio inevitabilmente comporta, se pur indirettamente, un riferimento anche alla posizione separata riguardante Silvio Berlusconi». Nei confronti del premier infatti il prossimo 27 novembre ci sarà quella che si chiama «l’udienza di smistamento», per portarlo alla sbarra. Il collegio che ha condannato Mills è incompatibile a giudicarlo, per questo si spoglierà del processo per lasciare spazio ad altre toghe adatte. Berlusconi ha comunque fatto sapere che in quella data non sarà presente in aula. Causa legittimo impedimento: un Consiglio dei ministri già in agenda da tempo. Dunque si prevede lo slittamento, cosa che non impedirà alle toghe di tornare presto all’attacco. Anche se non andranno da nessuna parte, perché non potranno utilizzare gli atti del processo Mills nel procedimento a carico del premier. Nemmeno in caso di bocciatura della nuova legge sul processo breve.
Le prime due ragioni di questo impedimento riguardano la stessa sentenza Mills. Essa non è irrevocabile. Si tratta infatti di un pronunciamento di secondo grado, che non essendo definitivo è suscettibile di impugnazione. Questo rende impossibile, per legge, ogni utilizzo dell’attuale sentenza di condanna in un altro procedimento. Ergo la sentenza Mills non può essere opposta a Berlusconi.
Secondo principio: un provvedimento decisorio (condanna per Mills) non può vincolare una persona se questa non ha potuto prendere parte al processo del quale quella sentenza è l’epilogo finale. Significa che nessuno dei fatti contestati a Mills può ritenersi accertato a carico di Berlusconi, questo perché lo stesso Berlusconi Silvio non ha avuto la possibilità di difendersi in quel processo. Si dà infatti il caso che né il premier, né il suo difensore siano mai stati presenti al dibattimento istruito contro David Mills. Il Cavaliere non ha partecipato a quel processo. Non lo ha fatto dal punto di vista giuridico perché vigeva il Lodo Alfano. E non lo ha fatto dal punto di vista fisico, non essendo mai entrato in aula. A sostegno di questo principio parlano gli articoli 24 e 111 della Costituzione; l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; l’articolo 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sancito dall’Onu, per citarne alcuni.
Il giudice che in via preliminare sarà chiamato a riprendere il processo per corruzione di testimone contro il presidente del Consiglio, dovrà accertare uno per uno tutti gli elementi costitutivi dell’imputazione. E una volta accertati, quel giudice, non potrà fare nulla.
Ma non finisce qui, perché gli impedimenti a opporre la condanna di Mills al premier, riguardano non solo la sentenza ma anche l’intero dibattimento. I verbali essenzialmente. Le dichiarazioni, compresa la confessione del versamento di 600 mila dollari da parte di Fininvest in cambio del silenzio, poi ritrattata dal britannico in aula.
Questi verbali e dichiarazioni confessorie di Mills si potevano utilizzare nel procedimento a carico di Berlusconi solo se il suo difensore, all’epoca, fosse stato presente durante la loro acquisizione. C’era in aula Nicolò Ghedini, mentre queste fonti di prova venivano assunte? Nessuno lo ha visto, infatti era assente. Come il suo assistito. Recita l’articolo 238 (bis) del codice di procedura penale: i verbali di dichiarazione (la cosiddetta prova dichiarativa) possono essere utilizzati in un altro procedimento solo se il difensore dell’imputato (Berlusconi) era presente durante la loro formazione.
In sostanza le dichiarazioni e la confessione di avere intascato i soldi dal Cavaliere (ammissione che poi Mills si è rimangiato), hanno valore pari a zero in un eventuale processo contro il premier. A meno che (paradosso) non sia lo stesso premier a chiedere di acquisirle. Questi verbali possono essere utilizzati a processo solo allo scopo di accertarne la veridicità. Soltanto per verificare se Mills era credibile, ma non potranno essere esibiti contro Berlusconi, perché il suo difensore era assente quando Mills ha parlato, non ha partecipato alla loro formazione.


La sentenza di condanna per corruzione pronunciata dai giudici d’Appello nei confronti di David Mills, non sfiora neanche di striscio Silvio Berlusconi. Il quale non ha affatto bisogno che il nuovo ddl sul processo breve diventi legge, per sfuggire alla giustizia.

VF

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