Senza grandi favoriti i green di Pebble Beach sono i veri protagonisti

Marcheranno il loro esordio nel centodecimo Us Open domattina all'alba, i «Frisky Fratelli», come al di là dell’Oceano, in California, hanno ribattezzato i due Molinari. Le diciotto buche del Pebble Beach Golf Links, che facilmente potrebbero essere considerate Patrimonio (golfistico) dell'Unesco tanto sono spettacolari, li attendono al varco intorno alle 7,30 ora locale (le 22,30 in Italia). L’orario antelucano, se non si è di pressione bassa, tutto sommato potrebbe comportare un piccolo vantaggio: «Sicuramente ci sarà meno vento -spiega Francesco- ma, viste le temperature di questi giorni, potremmo patire parecchio freddo». E dunque la palla potrebbe volare di meno, rendendo il percorso più lungo di quello che realmente è. Oltre a ciò, come se già non bastassero il vento, il gelo e il rough tipico di ogni Us Open che si rispetti, «i green sono piccolissimi e - continua il più giovane dei fratelli - già durissimi».
Dunque, Signori e Signore, benvenuti sui fairways stretti e imprevedibili di Pebble Beach, nella penisola di Monterey, dove, per la quinta volta dopo le edizioni del 1972, 1982, 1992 e del 2000, il circo golfistico cala a bomba per il secondo Major della stagione. Se però è la quinta volta per questo storico percorso, è anche vero che è la prima di uno Us Open senza un vero favorito della vigilia. Anzi, senza un vero protagonista. Con Tiger Woods più impegnato a firmare le carte del divorzio, scovare un indiscusso primo attore diventa infatti un’impresa complicata. Certo, escludere Phil Mickelson dalla lista dei favoriti sarebbe un sacrilegio, tanto il mancino è impegnato nella rincorsa al trono mondiale. Ma è pur vero che ogni qual volta Lefty era atteso da superfavorito, ha poi sempre pesantemente deluso le aspettative.
Ora. Viste le caratteristiche tecniche del percorso (soprattutto dei green) che sembrano avvantaggiare i grandi colpitori di ferri, qualche euro potrebbe facilmente essere puntato su Zach Johnson e Jim Furyk tra gli statunitensi e su Luke Donald e Lee Westwood (fresco vincitore del St Jude Open) tra gli europei. A sfavore di quest’ultimo, però, sembrano giocare i numeri, che, nel caso degli ultimi Major (il British Open 2009 e il Masters di aprile), ce lo indicano come un giocatore dall'animo friabile. Certo, sbagliando si impara e dunque finalmente la campana potrebbe suonare per l'inglesino. Per quanto riguarda invece il suo connazionale Donald, che arriva da tre settimane di Tour Europeo «very hot» (in quanto a risultati), il discorso appare leggermente diverso: molte volte nel passato, Luke ha dato la sensazione di sentirsi più a proprio agio dentro situazioni di classifica mediocre piuttosto che al top del leaderbord. Le ultime apparizioni a Wentworth, Madrid e al Celtic Manor, fortunatamente, hanno dato una bella passata di Sidol a quest’immagine un po’ appannata: staremo dunque a vedere se in un Major Donald saprà confermare quanto di buono ha mostrato ultimamente. Soprattutto intorno alla buca.


Anche i nostri ragazzi, che sono in California da sabato scorso, arrivano da ottimi piazzamenti: sono in forma, hanno la giusta determinazione e, soprattutto, ormai hanno accumulato tonnellate di esperienza. Che dire, dunque? Solo questo: incrociamo le dita.

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