Viterbo «Grazie a Dio ho trovato loro». Quando la signora Anca si è presentata al Centro di aiuto per la Vita, aveva già preso la sua decisione. Lei, quel bambino non lo avrebbe tenuto. Lei di bambino ne aveva già uno. Si era presentata giusto perché il suo datore di lavoro le aveva parlato benissimo del centro. Aveva bussato a quella porta giusto perché aveva sempre in testa quella voce contro. Dissidente, straziante, che diceva di no. «Non è facile per nessuno. Io ne so qualcosa. Ero praticamente certa di quello che volevo. E non volevo quel bambino. Ma la decisione è dura. Drammatica». Dieci anni fa è arrivata a Viterbo dalla Romania con il marito. Insieme tanti sacrifici e mille progetti. Il sogno di un lavoro migliore e una casa da finire in patria. Oggi Anca racconta tutto il suo dolore con una voce serena e un accento romano. Ricorda «senza vergognarsi di niente» e sorride per trattenere le lacrime. In sottofondo ci sono le voci di Andrei, di nove anni, e Christian, nato nel 2007.
Cosa ha provato quando si è accorta di aspettare un bambino?
«Panico. Non volevo assolutamente. Non era nei miei progetti. Pensavo che avrebbe intralciato la mia vita, il mio futuro, le mie ambizioni. Sono arrivata dalla Romania dieci anni fa. Con mio marito abbiamo fatto tanti sacrifici. Un lavoro come badante io e muratore lui. Avevamo già un bambino che oggi ha nove anni».
Perché voleva abortire?
«Perché mantenere un secondo figlio mi spaventava a morte. Economicamente iniziavamo ad avere una certa tranquillità, i primi lavori per una casa in Romania. E tutti i nostri risparmi erano già stati utilizzati per quel progetto. E poi per un motivo un po egoistico».
Quale?
«Il lavoro che avevo trovato non mi piaceva molto. Fare la badante non mi faceva sentire realizzata come persona. Andava bene allinizio, per creare una base. E un secondo bambino avrebbe assorbito tutte le mie energie».
Non aveva paura?
«Tutti hanno paura di abortire. Io credo che nessuna donna possa prendere una decisione del genere e non stare male. Io non ci ho dormito per un mese intero. E un mese è un sacco di tempo in questi casi. Il dubbio è in assoluto la cosa che ti distrugge di più. Dover scegliere per te e per un altro. Sapere che la decisione ti cambierà la vita per sempre. Arrivi a sentire una paura tale che ti senti paralizzata».
Cosa pensava suo marito?
«Lui voleva il bambino, ma capiva i miei desideri, il mio dissidio. Neppure per un papà è facile».
E cosa è successo dopo?
«La famiglia dove lavoro e abito mi ha consigliato di andare al centro di Aiuto per la Vita di Viterbo, vicino a casa nostra. Ero intimorita. Non sapevo con chi avrei parlato. Poi ho incontrato persone che mi hanno cambiato la vita».
In che modo sono riusciti ad aiutarla?
«Di solito si pensa che laiuto economico sia tutto. I soldi, certo, sono importanti, soprattutto per chi non ce lha. Nel nostro caso, ad esempio era il motivo delle mie più grosse preoccupazioni. Ma ci sono molte altre cose che il centro ti garantisce. Prima di tutto il sostegno psicologico. Poter parlare con unaltra donna che ti ascolta, spiegare le paure, le angosce. Mi hanno fatto capire che quel senso di colpa non mi avrebbe mai abbandonato».
Ha preso soldi?
«Grazie al progetto Gemma sono riusciti a farmi avere 160 euro al mese per 18 mesi. Ma ancora oggi mi aiutano con pannolini e vestitini. Ci sono».
Ripensamenti?
«No, avrei fatto lerrore più grosso della mia vita. Christian è nato il 30 agosto del 2007».
È riuscita a fare progetti tutti suoi?
«Sì.
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