Fabrizio de Feo
da Roma
Affondo dopo affondo e strappo dopo strappo, il tessuto dell’alleanza tra Forza Italia e An da una parte e l’Udc dall’altra appare sempre più logoro. Pier Ferdinando Casini, infatti, tiene duro e continua nella sua offensiva, marcando in ogni occasione utile le distanze dagli altri coinquilini della Casa delle libertà.
Il concetto che il leader dell’Udc torna a ripetere è lo stesso di Palermo. Ma sono le «affermazioni di corredo», i commenti a margine, le note a piè di pagina quelle che contribuiscono ad approfondire ulteriormente il solco a inasprire il clima. «La Casa delle libertà non ha più senso» sostiene Casini, intervenendo a Otto e mezzo su La7. «Se Berlusconi dice vediamoci, io ci vado come ho sempre fatto. Non ho problemi a vederlo, così come non ne ho a vedere Fini o Bossi. Ma ormai la Cdl non ha più senso per cui i vertici li facciano loro, li facciano Berlusconi, Fini e Bossi. Il ritualismo della Cdl, quello dei vertici così come quello del palco di San Giovanni, per me fa parte del passato e non di una prospettiva politica del presente». Casini, pur percorrendo la sua strategia di smarcamento, ci tiene a rivendicare l’importanza dell’Udc per il centrodestra: «Senza di noi la Cdl resta all’opposizione per vent’anni. Ma nessuno è così sciocco da pensare una cosa di questo tipo». Non tutto è perduto, insomma, nei rapporti con gli (ex) alleati. Ma l’importante, per tenere unito il filo di un’azione comune, è cambiare la legge elettorale assumendo il modello tedesco.
«Il problema - aggiunge - non è la leadership di Berlusconi che è stato consacrato dal popolo con buona pace di tutti gli altri: il mio compito non è succhiare la ruota a Berlusconi ma è quello di convincere l’elettorato moderato che c’è un’alternativa a questo governo di centrosinistra». Casini torna anche sulle passate esperienze di governo: «Se uno guarda gli atti votati dall’Udc negli scorsi 14 anni - dice il leader Udc - vedrà che la gratitudine per Berlusconi è riconosciuta in ogni minuto. Non solo per gratitudine ma per la situazione particolare che si era creata sono state votate tante leggi discutibili. L’abbiamo difeso dall’accanimento giudiziario».
Il numero uno centrista ritorna poi sulla manifestazione «solitaria» di Palermo, un rito di distinzione dagli alleati con il quale è consapevole di essersi attirato critiche e impopolarità. «Ho scelto di manifestare a Palermo e non a Roma con il resto del centrodestra perché non faccio il guastafeste e ho la schiena dritta. Nella vita - dice - si può sbagliare ma non si può essere pavidi. In molti ora non capiscono la mia scelta ma alla lunga verificheranno la mia coerenza e capiranno che non avevamo torto». L’ex presidente della Camera, in questo senso, rimanda ai dibattiti sul Libano e sull’Afghanistan «quando - ricorda - venni chiamato salvagente di Prodi. Poi il resto del centrodestra che mi aveva messo sul banco degli imputati è venuto con me e ha votato con me».
Se Casini tiene duro, gli alleati oscillano tra carezze e fendenti. C’è chi invita a non recidere il legame con i centristi e chi, nel Transatlantico di Montecitorio, ragiona sulla possibilità di mettere a segno un successo secco in quattro città alle amministrative del 2007 presentandosi senza Udc: Varese, Como, Vicenza e Vercelli. Gianfranco Fini getta acqua sul fuoco e ai suoi consiglia: «Non drammatizziamo tanto non accadrà nulla e alle amministrative vedrete che si andrà tutti insieme». Gianfranco Rotondi, dal canto suo, rilancia la federazione «Fi-An-Dc» mentre Roberto Maroni, per la Lega, invita tutti a voltare pagina senza rincorrere i centristi lungo le loro traiettorie.
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