da Belgrado
Lombra della crisi irrisolta del Kosovo si allunga sul referendum costituzionale che si svolge oggi e domani in Serbia. La Carta fondamentale approvata il mese scorso allunanimità dal Parlamento di Belgrado definisce la provincia a maggioranza etnica albanese come una parte inalienabile della Serbia. Nonostante la possibilità che le Nazioni Unite sanciscano unindipendenza condizionata per il Kosovo, la grande maggioranza dei 6,6 milioni di serbi chiamati alle urne sembra intenzionata a votare «sì» allapprovazione della Carta. Lunica incognita è rappresentata dal quorum del 50 per cento degli aventi diritto necessario per la validità della consultazione, ma i dati forniti da un osservatore serio della realtà balcanica come listituto Ifimes di Lubiana indicano che due terzi degli elettori intendono partecipare al voto.
A dominare la campagna elettorale sono stati i toni patriottici. Tutti i principali partiti, dai democratici agli ultranazionalisti, hanno invitato ad approvare il nuovo testo fondamentale e presentato i fautori del «no» alla stregua di traditori. La martellante propaganda, alla quale si è unito lo stesso patriarca della Chiesa ortodossa serba Pavle, sembra aver sortito leffetto desiderato: meno del 5 per cento di quanti si dicono intenzionati a votare hanno annunciato che esprimeranno un «no». Unaltra parte di scontenti si rifugerà nellastensionismo.
Dovrebbe quindi andare in porto il disegno del primo ministro Vojislav Kostunica e del suo partito democratico serbo, che vuole incardinare nella Costituzione del nuovo Stato «orfano» del Montenegro - che in primavera ha scelto sempre per referendum la strada dellindipendenza - il principio del Kosovo quale parte integrante del territorio e della comunità nazionale, sia pure riconoscendogli unadeguata autonomia. In questo modo tutte le istituzioni della Serbia avranno lobbligo costituzionale di difendere gli interessi di Belgrado nel Kosovo.
Quanto alla minoranza albanese (che nel Kosovo è appunto stragrande maggioranza) semplicemente ignorerà la chiamata al voto su quella che considera «una decisione unilaterale».