Serbia, nazionalisti in testa ma non al governo

Radicali quasi al 30 per cento, ma i tre partiti filoccidentali hanno la maggioranza assoluta

da Belgrado

Il partito radicale serbo, che rappresenta l’opposizione ultranazionalista, avrebbe conservato la maggioranza relativa nel Parlamento serbo con il 28,5% dei consensi (contro il 27,7 del 2003) nelle elezioni politiche che si sono svolte ieri. Lo indicano i primi dati delle proiezioni diffuse ieri sera dall'istituto demoscopico indipendente Cesid.
Per la composizione del nuovo governo si profila tuttavia, come previsto dai sondaggi, la possibilità di una coalizione fra le tre forze di dichiarato orientamento democratico-europeista che hanno pure superato lo sbarramento del 5 per cento: il Partito democratico ( liberal-riformista) del presidente Boris Tadic, vero vincitore della contesa, che sale al 22,9 per cento dal 12,5 del 2003; il cartello nazional-centrista del premier uscente Vojislav Kostunica, dato al 17 per cento; e il liberista G17 Plus dell'ex ministro delle finanze Mladjan Dinkic, assestato sul 6,8 per cento: insieme, secondo i primi calcoli, questi tre partiti avrebbero la maggioranza assoluta dei seggi.
L’unica sorpresa rispetto ai sondaggi pare darla il partito socialista che fu di Slobodan Milosevic, accreditato secondo i primi dati del 6,1 per cento: un’ulteriore conferma che lo zoccolo duro del nazionalismo aggressivo fatica a regredire in Serbia. Incerto sul limite del 5 per cento (le proiezioni lo danno al 5,1) il risultato del partito liberaldemocratico (Ldp) del giovane Cedomir Jovanovic, unica formazione che s'è dichiarata apertamente disposta ad accettare l'eventuale perdita della provincia secessionista a maggioranza albanese del Kosovo, in cambio di una più rapida integrazione della Serbia post-Milosevic nell’Unione europea e nella Nato.
Sulla regolarità del voto, il primo dopo la secessione del Montenegro nella scorsa primavera, vigileranno cinquemila osservatori locali, affiancati da cinquecento internazionali. Il tema centrale sullo sfondo della consultazione è stato, e rimane, il destino del Kosovo. Belgrado rischia di perdere il controllo della regione a maggioranza albanese, che i serbi considerano la culla storica della loro Nazione. Il Kosovo dalla fine della guerra del 1998-1999 tra le milizie albanesi e le forze leali a Milosevic è amministrato dalla Nazioni Unite. La prossima settimana l'inviato dell'Onu, il finlandese Matti Ahtisaari, renderà note le raccomandazioni finali sul futuro status della regione. Secondo indiscrezioni, Ahtisaari dovrebbe proporre un'indipendenza 'attenuatà, accogliendo in parte le richieste dei kosovari di etnia albanese, che costituiscono il 90 per cento dei due milioni di abitanti.

Il gruppo predominante fin dalla conclusione del conflitto ha spinto per l'indipendenza dalla Serbia: una richiesta che Belgrado, ormai priva di tutte le componenti in cui s'incarnava la vecchia Jugoslavia di Josip Broz Tito, ha sempre respinto.

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