Cultura e Spettacoli

Sergio metallurgico ferito nell’onore

La stella che non c’è di Gianni Amelio è un film realizzato seriamente, con ampi mezzi e vaste ambizioni, ma col difetto d’esser superfluo fin dalla radice, cioè dal soggetto del film. Non dal soggetto del romanzo - La dismissione di Ermanno Rea (Rizzoli) - al quale vagamente s’ispira, ma dal quale colpevolmente si distacca, forse nemmeno per colpa dello sceneggiatore, Umberto Contarello, ma degli estri di Amelio stesso.
Perché - ci si chiede fin dall’inizio - l’ossessivo metallurgico Sergio Castellitto s’agita tanto, solo per portare da Bagnoli (ma quello che si vede nel film è l’Italsider di Genova) in Cina un ingranaggio che ci arriverà solo per essere gettato via? Perché non lavora? E se non lavora, dove trova i soldi per il viaggio?
S’immagina - perché nel film non viene detto - che il metallurgico sia ferito nell’onore, come reduce della quasi estinta classe operaia; si deduce da questo che il suo viaggio sia meno avanti, nello spazio, che indietro, nel tempo. In fondo la Cina ha ancora tanti operai... Solo che l’operaio cinese che si trova davanti, forse perché gli sembri che ragioni proprio come ieri ragionava l’operaio emiliano (toscano, umbro...): vuole lasciare la fabbrica, salvo diventarne padrone. Insomma, gratta il compagno e scoprirai il borghese.
Se nel film di Amelio ci fossero eventi di rilievo, la sua carenza di movente si noterebbe meno. Ma l’ideatore è proprio come il suo metallurgico: nostalgico e senza nerbo. Non osa nemmeno scagliare l’unica invettiva possibile contro chi, in Italia e altrove, ha rinnegato tutto, non osa citare il Pound del memorabile anglolatino: «Bellum cano perenne between usura and the man who wants to do a good job».
E poi, peggio, ad Amelio sfugge della Cina la grandezza «immensa e rossa», che l’opera di Mao ha assunto passando nelle mani di Deng, poi dei suoi successori, come edificazione di una patria, non di una patria dei lavoratori. Se non sa salvarsi con Pound, che amava Confucio, Amelio non sa nemmeno essere un emulo di Malaparte, che della Cina non aveva paura di cogliere l’essenza di sangue e suolo, ammantata dalle bandiere con falce e martello.



LA STELLA CHE NON C’È di Gianni Amelio (Italia/Svizzera, 2006), con Sergio Castellitto, Tai Ling. 104 minuti

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