La serie A si ribella ad Abete: "Paghiamo e non contiamo"

Pronta allo scontro con la Figc. Le società diserteranno il consiglio federale: va rivista la norma sui calciatori extracomunitari

La serie A si ribella ad Abete: "Paghiamo e non contiamo"

La serie A è pronta allo scontro. Compatta come mai si era dimostrata, ieri l’assemblea dei club di A ha votato all’unanimità l’uscita dei propri rappresentanti dal Consiglio Federale della Figc, sottoscrivendo la decisione con un comunicato di fuoco nei confronti del presidente Abete e del suo operato. Il blocco al tesseramento degli extracomunitari, deciso motu proprio dalla Figc (che in serata ha ribadito l’assoluta legittimità della decisione, invitando contemporaneamente i club di A a riprendere al più presto la loro partecipazione ai lavori del Consiglio federale), è soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A valle c’è una serie A ormai più che convinta di non avere un peso decisionale parametrato con la propria importanza all’interno della sistema. E anche la presidenza di Abete è ormai in forte dubbio: durante l’assemblea alcuni presidenti ne avrebbero chiesto le dimissioni, richiesta poi passata sotto silenzio per evitare di spostare l’attenzione dal vero problema che tiene l’intera serie A sotto scacco.
La prima mossa sarà dunque quella di non partecipare al consiglio federale di oggi, un’assenza che potrebbe venire ribadita anche in futuro se la Federcalcio non metterà mano al proprio statuto. «La serie A - si legge nel duro comunicato emesso al termine di una riunione di oltre quattro ore - considera improcrastinabile una revisione dei ruoli e dei rapporti tra le varie componenti che costituiscono la Figc. La Federcalcio è espressione del calcio nazionale, ma non può ignorare la componente principale di tale settore. La serie A costituisce la massima espressione, sportiva ed economica, del calcio italiano: serve un profondo rinnovamento». Avere un ruolo di maggior rilievo nelle decisioni del Consiglio Federale: questa in sintesi la richiesta dei club di A. Che ad oggi, originano la quasi totalità delle risorse economiche del sistema calcio (annualmente versa nelle casse delle altre componenti del sistema il 10% del valore dei diritti tv, circa 100 milioni di euro), ma che all’interno del Consiglio Federale può contare solamente su tre rappresentati su 27. Un’inezia rispetto allo statuto precedente, riscritto in epoca post-calciopoli, quando i club dell’ex Lega Calcio godevano di una sorta di diritto di veto nelle decisioni del Consiglio.
Si torna a parlare dunque del modello inglese. «Stiamo studiano in modo pragmatico tutti i modelli - afferma il presidente delle squadre di A, Beretta - partendo da un dato e cioè che il nostro modello non pesa giustamente la serie A». Insomma, non importano tanto quali strade intraprendere, semmai conta il risultato finale. E in questo momento di muro contro muro, la serie A ha già iniziato a lanciare qualche bordata: ha già chiesto al governo un incontro urgente per ridiscutere alcune leggi (la n.91 del 1981 “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” e il DL n. 242 del 1999 conosciuto come Legge Melandri che regola le rappresentanze nelle federazioni sportive) e ha spostato il sorteggio dei calendari (previsto il prossimo 28 luglio) dalla sede del Coni al Foro Italico a Milano.

Un primo risultato già c’è stato, con il Coni che ha dimostrato totale apertura alla revisione delle leggi in questione, sottolineando come il 28 aprile scorso sia stato aperto un tavolo tecnico con il Governo per iniziare a valutare i passaggi normativi idonei a modificare il testo della Legge 91. Ma la battaglia è appena iniziata.

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