Sermonti: "Ora voglio leggere Le Metamorfosi"

Domani l’ultima serata per il ciclo di letture dell’'Eneide nella chiesa di Santa Maria delle Grazie

Professor Vittorio Sermonti, il viaggio con l'Eneide in compagnia dei milanesi sta per finire. Qual è stata la serata più coinvolgente?

«Quella di venerdì scorso. Virgilio descrive la morte di Lauso, ucciso da Enea in combattimento. Quando l'eroe dell'Eneide solleva il corpo del giovane, nota che il sangue scorre sui suoi “capelli tagliati alla moda”. In questa breve annotazione c'è tutta la pietà di Virgilio per un ragazzo attaccato alla vita, magari un po' spavaldo...».

Incontriamo Vittorio Sermonti in un albergo di Milano: domani chiude il ciclo di fortunate letture pubbliche del poema di Virgilio e, al di là di dotti discorsi (Sermonti è un abile affabulatore), non possiamo non domandargli come ci si prepara a una «fatica» simile: dall'11 settembre al 12 ottobre, ogni giorno in scena per una lettura pubblica di un'ora circa. Sermonti si ferma, va in camera sua e poi ritorna con in mano una serie di fogli bianchi, quelli che tiene raccolti nella cartelletta rossa che porta con sé ogni sera in Santa Maria delle Grazie: il testo del suo intervento e la traduzione sono scritti a computer, ma a margine ci sono un'infinità di note, noterelle, segni rossi, addirittura disegni che indicano la gestualità da tenere in pubblico. Sono il frutto di 3 ore di lavoro ogni giorno, più un'ora di «prova generale» prima dell'incontro serale con i fedelissimi milanesi.

C’è molto teatro in questa preparazione.

«C'è tutto di me. C'è il teatro, il giornalismo, la cura della voce imparata alla radio, l'insegnamento, la vita quotidiana. Ascoltare la gente che chiacchiera, cogliendone l'intonazione, mi è utile per usare stili diversi nella traduzione dei classici».

Che i ricordi di scuola restituiscono un po' pesanti.

«Purtroppo si riproducono spesso in modo pomposo. Ma i dialoghi di Virgilio, specie quelli tra gli dei che si azzuffano tra loro, hanno i toni della commedia e io voglio tradurli in modo fresco, non arcaico».

Dopo i successi delle letture dantesche e dopo l'Eneide si cimenterà con un altro classico?

«Mi piacerebbe affrontare “Le Metamorfosi” di Ovidio. Ma ho un'età in cui non mi garba usare traduzioni altrui: per leggere Ovidio dovrei prima tradurlo e per farlo ci vorrebbero almeno due anni...».

Intanto in primavera uscirà per Rizzoli la traduzione dell'Eneide che i milanesi in questi giorni hanno ascoltato in anteprima.

«La struttura del volume sarà simile a quella presentata nel corso delle serate: una breve introduzione e poi i versi, ricordando di restituire sensazioni al lettore. L'Eneide è un racconto ricco di emozioni perché è la storia della fondazione dell'Italia. È il poema di una patria perduta, Troia, e di una patria agognata e conquistata con il sangue, dopo un lungo viaggio. È di una tremenda modernità».

Lo è anche il «pio Enea», l'eroe di Virgilio?

«Anni fa si era soliti dire “beato il Paese che non ha bisogno di eroi”: ora questa parola è tornata nel lessico comune, è sentita quasi come un'emergenza e una necessità».

Si aspettava il successo di pubblico per un testo apparentemente meno accattivante della Commedia di Dante?

«Non mi aspetto mai niente.

Non mi aspettavo nulla dall'Inferno, né dal Purgatorio né dal Paradiso ed è andata come sappiamo. Speravo che sarebbe accaduta una cosa simile con l'Eneide, un testo che mi ha stancato ma anche divertito di più della Commedia. È andata bene: con Milano ho un rapporto bellissimo».

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