Ci sono personaggi che non solo cadono sempre in piedi, ma dell’impatto escono con le scarpe perfettamente nettate: è il caso di Achille Serra, «il poliziotto senza pistola» come ebbe a definirsi in un’autobiografia, ex questore ed ex prefetto in svariate città italiane (Roma veltroniana tra queste) ed ex parlamentare di Fi sino al 1998, prima che fosse annunciata (ieri) la sua candidatura nelle liste dei famosi di Veltroni.
Ora non si vuole parlar male di Achille Serra solo perché è candidato con quegli altri: il suo epilogo di carriera consente semmai di stagliarlo finalmente come archetipo italiano di norma sottovalutato, quello né anonimo né sovraesposto, né scialbo né mai davvero protagonista, un profilo quattro stagioni disegnato nelle gallerie del vento politico. Comunque un italiano vero, un innovatore, come si desume anche dalla sua straordinaria invenzione dell’altro giorno: un pubblico annuncio per dire che nessuno l’aveva ancora candidato. Testuale: «Sottolineo che una persona si candida dopo aver ricevuto un’offerta», spiegava un dispaccio d’agenzia, «ma io non ho ricevuto nessuna offerta»; «con Veltroni», tuttavia, «abbiamo lavorato per Roma, lui in qualità di sindaco e io di prefetto». E zac, il giorno dopo eccoti la candidatura per Veltroni.
Tutto l’excursus di Serra è stirato come i suoi pantaloni. Classe 1941, il reazionario Achille Serra diventa poliziotto nel 1968. Ha il suo daffare tra attentati rossi e neri, sequestri di persona, le bande dei Vallanzasca, Turatello ed Epaminonda: nell’autobiografia di Serra ci sono racconti leggendari e insomma tutta la carriera a capo della Mobile, della Digos, della Criminalpol, una progressiva armonia con la Milano da bere. Nei primi anni Novanta Achille Serra era perfettamente a suo agio in un aggrovigliato giro di amicizie; c’era il suo amico Antonio Di Pietro, allora ritenuto vicino ai socialisti; c’era Eleuterio Rea, amicone di Di Pietro e del sindaco Paolo Pillitteri, neo capo della Criminalpol che sostituì proprio Serra quando nel ’91 divenne questore destinato a Sondrio, città di Pillitteri; c’era insomma un sacco di gente, non ultimo l’ex segretario amministrativo della Dc Maurizio Prada, che oltretutto era anche presidente dell’Azienda Trasporti Milanesi e aveva per segretaria Agnese Serra, moglie di Achille.
Poi il grande spartiacque di Mani pulite. Quando non era ancora chiaro da che parte tirava il vento, fu Achille Serra a telefonare all’amico Di Pietro per chiedergli che cosa stava succedendo a Milano e se Bettino Craxi era in qualche modo coinvolto. Serra in realtà chiamava per conto del capo della Polizia Vincenzo Parisi, il quale l’aveva chiamato proprio per conto di Craxi. Poi, crollata la Repubblica, Serra prenderà le distanze da tutti gli ex amici e la sua carriera accelererà. Nel ’93 tornò a Milano da questore, nel ’94 fu prefetto di prima classe e vicecapo vicario della Polizia, nel ’95 divenne Prefetto a Palermo. Successivamente si accrediterà nel giro di Fi, ma con calma: non nel ’94, quando pochi avrebbero scommesso su una vittoria di Berlusconi, ma nel ’96. E proprio quell’anno venne candidato ed eletto alla Camera nel blindatissimo collegio 6 della Lombardia, ma da subito le cose non andarono come lui avrebbe voluto: non divenne ministro (anche perché vinse il centrosinistra) ma solo relatore di una pomposa quanto sterile Commissione anticorruzione assieme al dipietrista Elio Veltri. Una serie di sue proposte (tra queste un’Authority sui redditi e i patrimoni di politici) fu clamorosamente bocciata dalla stessa Fi e Serra dovette fare ammenda. Sentendosi sottoutilizzato, decise di dimettersi da deputato il 31 marzo 1998. Una polemica silenziosa, la sua, non dissimile da quella che lo divise dal sindaco di Milano Gabriele Albertini: la candidatura di Serra a primo cittadino di Milano fu bruciata anche per questo.
Poi la carriera di Serra ricominciò a correre: prefetto ad Ancona, a Firenze e dal 2003 a Roma, sua città natìa, d’amore e d’accordo con Veltroni: nonostante una sua bislacca proposta, nel 2005, di istituire un quartiere a luci rosse nella Capitale. Poi, terminata l’esperienza, l’incarico classicamente inutile di «Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione nella Pubblica amministrazione». E ora la candidatura per Veltroni. Un mistero, per certi aspetti: dimettendosi dalla Camera, Serra aveva scritto: «L’esperienza professionale mi ha insegnato anche lo spirito di servizio che si concretizza in un’azione imparziale ed equidistante che deve prescindere da valutazioni di parte». Ora, per Serra, l’imparzialità e l’equidistanza non sono più dei problemi.
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