L a prima verità tecnica di Budapest è che alla Ferrari ci vorrebbe un direttore sul campo meno pragmatico e un po più coraggioso. Non si comprende, altrimenti, come una macchina che si è buscata addirittura lo 0,92% di ritardo sul giro in qualifica sia riuscita a comportarsi meglio della McLaren, a parità di pneumatici super soft, nel terzo «stint». Infatti, allarrivo, i battistrada di Hamilton erano disastrosi, mentre quelli di Raikkonen non erano così spappolati, con limportante risultato del giro più veloce finale. Allora, dobbiamo metterci daccordo: o gli ingegneri di Maranello non sono più capaci di allestire i migliori assetti, dopo che gli avversari inglesi hanno loro sottratto parametri determinanti, oppure sono in preda al panico e commettono errori quasi da principianti.
Preso dalla stizza, ho passato tutta la notte di sabato a riesaminare, in ambiente CAD o «Computer Aided Design», la famosa ripresa di «camber», cioè la variazione dellangolo di campanatura della sospensione anteriore, responsabile del maggior «graining» delle gomme più tenere. Ma, nonostante lapprossimazione delle geometrie, ricavate da immagini, non ho trovato tutta quella differenza, rispetto alla sospensione della McLaren. E la corsa lo ha confermato. Poi, la seconda verità tecnica è che, con un piccolo sforzo, gli uomini del Cavallino potevano cercare una lieve differenziazione tattica. Se i rivali fanno partire Hamilton con poco più di 40 chili di carburante e con lobbiettivo del 27% del primo settore di gara, perché imitarne perfettamente la strategia? Il grande Schumi, con i suoi storici martellamenti, aveva insegnato che lideale era poter restare in pista qualche giro in più del diretto avversario. Così da giocare la grossa carta del sorpasso al primo pit-stop.
Certo, se lo stratega comincia a spaventarsi di avere la Bmw di Heidfeld davanti, con la via sbarrata, tutto crolla.
Serve coraggio ai box del Cavallino
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