Sesso e preghiera, la vita di Padre Fedele

Nei verbali del pm telefonate scottanti che proverebbero una condotta immorale

È l’alba del 23 gennaio quando padre Fedele Bisceglia, 59 anni, viene arrestato con l’accusa di violenza sessuale nell’Oasi francescana, l’istituto religioso da lui fondato e diretto. A fare scattare le manette è la denuncia di una suora, presunta vittima degli stupri consumati in più occasioni e da più persone tra cui padre Fedele (almeno cinque gli episodi incriminati) all’interno e all’esterno dell’Oasi di via Asmara a Cosenza. A dare per prima la notizia, alle 6.26 del mattino, è l’agenzia Adnkronos che da quel momento seguirà dettagliatamente la vicenda, destinata certo a riservare ulteriori colpi di scena. Dal carcere dove è rinchiuso da una settimana, padre Fedele continua intanto a professare la propria innocenza «perdonando» chi lo accusa - a suo dire - ingiustamente. L’opinione pubblica, com’è inevitabile nei casi giudiziari di grande impatto mediatico, si è divisa in innocentisti e colpevolisti: «sentenze», ovviamente, che lasciano il tempo che trovano. Qualche elemento di valutazione in più può trovarlo invece chi ha letto la richiesta di custodia in carcere avanzata dalla Procura di Cosenza e accolta dal Gip. Atti ufficiali dai quali, allo stato, è facile dedurre come la testimonianza della suora rappresenti l’unica carta veramente decisiva nelle mani dell’accusa. È sull’attendibilità di questo teste-chiave che si giocherà la sorte giudiziaria di padre Fedele la cui difesa non mancherà di evidenziare le incertezze (in ordine soprattutto a tempi e modalità in cui si sarebbero consumate le violenze) che emergono dalle deposizioni della suora. Circostanze che la religiosa (attualmente ospitata in un monastero del nord Italia) già oggi dovrebbe confermare al Gip che, per tutelarne meglio la privacy, potrebbe optare per un interrogatorio in videoconferenza. Uno stato di «confusione emotiva», quello in cui versa la religiosa, che a giudizio della dottoresa che ha eseguito su di lei la perizia psichiatrica rappresenterebbe un elemento di conferma della violenza subita, ma che - nelle mani di un buon avvocato difensore - potrebbe trasformarsi nel grimaldello ideale per scardinarne l’attendibilità. In assenza infatti di prove inconfutabili (a quanto pare il video in cui sarebbero state immortalati gli stupri non è mai stato trovato), l’accusa potrebbe contare solo su «gravi» indizi.

Quanto poi alle intercettazioni telefoniche esse servono a dimostrare (e da qui la rilevanza e sociale e l’interesse pubblico della loro pubblicazione, nella forma più «edulcorata» possibile) che padre Fedele è un uomo moralmente in assoluta antitesi con la probità etica e religiosa che deve essere prerogativa fondante dell’ufficio di un «ministro di Dio». Anche se un frate sessuomane non è necessariamente anche un frate stupratore.

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