La sfida di Berlusconi: «Vinciamo al primo turno e con più voti del 2006»

Un po’ amarcord in salsa meneghina, tanto dichiarazione d’amore. Il negozio delle meringhe e quello delle pipe, le macerie dei bombardamenti, Angelo Rizzoli e il Corriere della Sera, Bettino Craxi «d’origini siciliane, ma milanese doc», il Milan in serie B e Mourinho («lui mi piace quando dice zeru tituli»). L’infanzia felice all’Isola e «i passeri che a Milano invece di cantare tossiscono». Poi Silvio Berlusconi canta in dialetto Nustagia de Milán, la famiglia sfollata in Svizzera per la guerra e la canzone che mamma Rosa «ci insegnava quasi fosse l’inno nazionale». Quando per vivere faceva il fotografo ai funerali («e in tre ore era tutto pronto, mentre gli altri ci mettevano tre giorni»). Poi ai matrimoni. «Perché a me piace la famiglia. E, infatti me ne sono fatte due».
Si lancia la candidatura di Letizia Moratti. In prima fila al Teatro Nuovo ieri c’erano i ministri Ignazio La Russa e Mariastella Gelmini, i sottosegretari Daniela Santanchè e Mario Mantovani, il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e l’ex sindaco Gabriele Albertini. «La sinistra dice che è rimbambito? Se questo è un rimbambito, io sono Babbo Natale». Nelle parole all’amica della sciura cotonata di fresco, c’è tutta la distanza tra certa politica impigliata tra salotti e giornali e le emozioni di persone in carne e ossa. Il vero motivo per cui quando i voti si contano, quelli del centrodestra pesano di più. E dall’altra parte si stupiscono. Ma ormai è troppo tardi. Le macchine blindate hanno appena sgommato in piazza San Babila, Silvio Berlusconi ha invitato tutti ad andare a casa. «Vi nomino tutti missionari della libertà». Un’ora e mezza filata senza nemmeno bere un bicchiere d’acqua. Senza una ripetizione, senza una parola che non arrivi rapida a colorare un eloquio se possibile ancor più sciolto del solito. Chi gli sta vicino l’aveva detto che «il Cavaliere è particolarmente in forma. Sereno, deciso». Sembravano tattiche da campagna elettorale. Non è così. La sfida con i giudici del tribunale che dista solo pochi passi, gli dà vigore. L’idea di rinnovare il partito subito dopo le amministrative ora che la zavorra dei finiani è alla deriva, aggiunge nuovo smalto. «Io il più potente d’Italia? Solo per una certa cosa». Poi una galoppata tutta milanese dal bianco e nero delle macerie della guerra fino alla speranza di una Milano «capitale morale ed economica di un’Italia liberale, democratica e giusta». Con un pensiero alla Milano da bere, «che non era una brutta cosa perché significa che Milano uscendo dalle crisi, per prima è riuscita a dare benessere». C’è Albertini. Uno che ha consegnato «una città con i bilanci sani». Berlusconi domanda a lui e alla Moratti di «quanti favori vi ha chiesto il partito da sindaci?». Risponde «zero» Albertini, «zero» la Moratti. «Il nostro modo di essere responsabili, noi abbiamo introdotto una nuova moralità della politica che non è solo quella di non rubare, ci mancherebbe, ma anche quella di mantenere gli impegni presi». Una città «ancora senza addizionale Irpef, dove i biglietti del tram non sono stati aumentati, l’acqua costa meno e non c’è tassa di soggiorno». Il rischio declino e la candidatura come capolista? «Supereremo le 53mila preferenze» dell’ultima volta.
Poi c’è Milano, «città unica, fantastica che abbiamo dentro il cuore e l’anima». Anche se «non c’è più il negozio dove compravo le pipe da regalare al papà, né quello delle meringhe per la mamma. Adesso c’è la Tim, dove non ci vado perché al presidente del Consiglio è vietato avere il telefonino. Come sapete ci sono tutte le procure d’Italia che lo intercettano». E allora «sono tornato a scrivere lettere d’amore». E l’Isola. Bambino, «di famiglia ancora povera. Alla fine del mercato andavo a raccogliere le carte, quelle gialle che rimanevano. Le mettevo a mollo, ne facevo delle palle e le asciugavo. Erano ottime per accendere il fuoco. E le vendevo». Il legame coi Moratti. «La mamma fu per anni segretaria di papà Moratti, abbiamo un’amicizia antica». L’Inter. «L’anno scorso vi abbiamo lasciato vincere tutto. Adesso basta».

Gran finale tutto politico. «A Milano bisogna vincere, al primo turno». Perché queste sono «elezioni nazionali e la vittoria servirà a rafforzare il governo». E perché se vince la sinistra, «porterà più tasse e clandestini».

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