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La sfida dei gigantisti della domenica

Nostro inviato ad Åre

Lo sci ha inventato il suo intertoto, torneo che nel calcio è l’anticamera della coppa Uefa, e c’è chi l’ha presa male, come Lamine Gueye, senegalese, 46enne presidente della federscì del suo Paese, di cui è anche un atleta semipensionato. Qui Lamine ha perorato la causa delle piccole nazioni, piccole sci ai piedi perché nella realtà Brasile, Germania o Russia non sono certo lilliput. Lo hanno ascoltato chiedere per Val d’Isère 2009 un tot di posti sicuri e in una riunione dei capisquadra è stato anche applaudito dai ct degli squadroni, che sono poi i primi a non volere momenti di folklore in pista. Passati i campionati, tutto finirà nel dimenticatoio. Non se ne poteva più di vedere scendere, in gigante e in slalom, tremebondi ragazzi, autentici sconosciuti il cui imperativo è giusto quello di arrivare al traguardo e poterlo raccontare a casa. La Fis ha così deciso che, fatti salvi i migliori 50 punteggi, ammessi di diritto domani in gigante e sabato in slalom, dal 51° in poi devono passare per le qualificazioni: i primi 25 in finale, gli altri via.
È stato un lunedì in totale assenza di pubblico, cosa che ha infastidito i più scarsi tra gli scarsi, 101 in tutto al cancelletto, perché sono mancati gli applausi che in passato nessuno ha mai negato loro. Per la verità si è visto anche un campione del mondo, Ivica Kostelic, primo in slalom nel 2003, velocissimo (nella lista di merito è il 51° gigantista al mondo) e poi squalificato perché gli spessori tra sci e scarponi erano troppo alti. Non si è arrabbiato perché voleva solo assaggiare la neve in vista dello speciale di sabato. Tutti gli altri hanno dato il meglio di loro stessi, anche il ghanese Nkrumah Acheampong, 66° e ultimo con un minuto e 17 secondi di ritardo dal vincitore, Urs Imboden, moldavo. L’africano ha corso con tuta, sci e scarponi dipinti come una pelle di leopardo, mentre Urs è uno svizzero riciclatosi perché troppo modesto per la nazionale rossocrociata. Idem Christophe Roux, figlio di Philippe, ben più valido liberista anni Settanta. E per la serie «la storia si ripete ma in farsa», da Prato allo Stelvio, il paese di Gustav Thoeni, ecco Sascha Gritsch, anche lui moldavo d’adozione innevata. Per il Brasile un altro italiano, Johnatan Longhi, 27° e out per un pugno di centesimi. Venne adottato da una famiglia italiana all’età di due anni, il passato gli è tornato utile per Åre. Da Rio è giunto invece Nikolai Hentsch, che si vuole rampollo di un banchiere. Di certo era a Torino 2006, ma i soldi non bastano: caduto.
Di loro si scherza, però quanti non emergono solo perché nati in Paesi ai margini del grande sci? In fondo lo stesso Jan Hudec, argento in discesa per il Canada, è nato 26 anni fa nell’allora Cecoslavacchia.

I genitori scapparono dal comunismo con una barchetta da un altro Stato che non esiste più: la Jugoslavia. Prima di approdare in Italia, in Adriatico incapparono anche in una tempesta, poi ottennero un visto per il Canada. Quanti come Jan abbiamo perso?

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