La sfida dell’e-book è già partita: costi e profitti bassi ma numeri immensi

da Roma

A descrivere la crisi del libro ci pensa un’immagine tanto forte quanto significativa. Sette volumi su dieci tornano indietro. Inutili, pesanti, polverosi, ingombranti e, soprattutto, anti-economici. Al di là del fatto «ecologico», è sicuramente un segno di quanto l’editoria, come fino a oggi l’abbiamo intesa, è un sistema pletorico e arrugginito. Meglio guardare più in là del proprio naso e vedere cosa succede - ad esempio - nell’editoria digitale. I dati anche qui sono significativi. Oggi nel mondo ci sono tre milioni di lettori digitali di libri, altrimenti detti e-book. Tavolette elettroniche che sostituiscono in tutto e per tutto un libro, salvo il fatto che ti permettono di leggere non uno ma migliaia di testi (salvando la carta, lo spazio e il portafogli). Nel 2008 ne sono stati venduti 500mila, l’anno passato un milione e 200mila, e quest’anno si prevede la vendita di 10 milioni di pezzi. Insomma una crescita esponenziale che è stata capace di attirare l’attenzione di editori grandi e piccoli anche nel nostro Paese. «A dire il vero - spiega Antonio Tombolini di Simplicissimus Book Farm, società che si occupa di distribuire e-book e software per la lettura digitale - sono gli editori piccoli i più interessati. Non avendo alle spalle grossi magazzini, grandi cataloghi, società di distribuzione e catene librarie, mostrano la duttilità necessaria per inserirsi in questo nuovo mercato dove i ricavi sono più bassi in percentuale ma, alla lunga, ben più preziosi».
Pubblicare un libro digitale oggi, però, non è facile. Anche se da 15 anni a questa parte tutti scrivono sul computer, nel processo editoriale dal testo al libro si passa sempre attraverso un programma (pdf) che trasforma il digitale in un facsimile della carta. Un formato incapace di adattarsi ai piccoli schermi dei lettori di e-book. Ecco dunque la necessità di investire tempo e denaro per preparare i cataloghi di domani. Il primo passo è stato fatto: un «formato» universale adottato da tutti gli editori e da tutti i lettori di e-book (Epub). Ora bisogna investire tutte le energie nel portare il catalogo nel nuovo formato. La Mondadori, per esempio, ha annunciato il suo ingresso massiccio nel settore entro la fine dell’anno. Oltre 1.300 titoli tra saggistica e scolastica. «Ci sarà spazio anche per la narrativa di consumo - spiega l’amministratore delegato Maurizio Costa -. Vogliamo entrare nel modo giusto in un mercato che comincia a dare risultati e prospettive di crescita: l’investimento sarà importante». Quello tecnologico sarà di un milione di euro, limitato dal fatto che il gruppo dispone di molti titoli già in formato digitale. «Negli Stati Uniti gli e-book hanno l’obiettivo di raggiungere il 20% dell’intero mercato librario in 4-5 anni - aggiunge Costa -, in Italia puntiamo per ora al 10%».
Saltando tutti i processi tradizionali di produzione editoriale, l’e-book riesce a ridurre fortemente i costi tanto da far immaginare un futuro dove le distanze tra produttore (scrittore) e consumatore (lettore) si annulleranno. «L’effetto del digitale su qualsiasi prodotto immateriale è disintermediante» commenta sempre Tombolini. Un termine (disintermediante) cacofonico quanto sintomatico. Per paradosso sarà proprio il cliente della Rete ad avere più bisogno del valore aggiunto degli editori. Nel mare magnum del web dove tutto si appiattisce a un codice e a un clic, il marchio editoriale può aiutare ben più di un vecchio commesso di libreria. E gli economisti tirano fuori anche la teoria della «coda lunga».

Bassi costi, bassi profitti ma numeri - col tempo - impressionanti. Centesimo dopo centesimo, ci si potrà costruire fortune sopra l’e-book. Basta vedere l’esempio di ITune, la libreria musicale che ha fatto ricca la Apple e che ha dato ossigeno alle case discografiche boccheggianti.

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