Il piano è ambizioso, all’apparenza temerario. L’Irak evoca bombe, stragi, guerra, miliziani armati, conflitti settari, rapimenti, terroristi e cruente esecuzioni, non certo vacanze e relax. Eppure, le autorità locali, rese coraggiose dai recenti progressi della sicurezza e dagli sviluppi politici, si sono date una mission impossible: fare dell’Irak una nuova meta turistica. Il sito della Farnesina sconsiglia «viaggi a qualsiasi titolo in Irak», come fanno anche il Foreign Office britannico e il Dipartimento di Stato americano. A Bagdad non importa: da qualche parte si dovrà pur cominciare. «Turismo non terrorismo», è il nuovo slogan dell’Ente per il turismo nazionale che ha perfino spedito una delegazione in Irlanda del Nord, un tempo teatro di violenze e oggi meta di vacanze. E Martin McGuinness, politico dello Sinn Féin, terrà presto agli iracheni lezioni sull’arte dello sviluppo post-bellico.
Hamud al Yakubi, presidente dell’Ente, è sicuro: quando le violenze diminuiranno ancora, arriveranno i primi viaggiatori. «Certo, abbiamo problemi dopo quello che è successo nel Paese - ha spiegato - ma stiamo ricostruendo e dobbiamo guardare avanti». Tra il 2007 e il 2008, gli attacchi sono scesi dell’80 per cento grazie all’aumento di truppe americane sul terreno e la cooperazione di parte della popolazione con i militari. Ma le violenze non sono evaporate: pochi giorni fa, due attentati hanno fatto 57 vittime tra Bagdad e Kirkuk. Inoltre, nessuno sa cosa succederà quando gli americani si ritireranno. L’Irak investe comunque sull’ottimismo infuso dagli ultimi miglioramenti. Per questo, 200 tra operatori turistici e albergatori si sono riunti pochi giorni fa per discutere le basi della nuova industria: uffici del turismo iracheno saranno aperti all’estero e il complesso di palazzi del dittatore Saddam Hussein a Tikrit, sua città natale sulle rive del Tigri, diventerà un parco a tema e resort.
Nonostante l’impresa sembri prematura, ci sono segnali positivi concreti: il premier Nouri Al Maliki ha da poco inaugurato un aeroporto civile a Najaf, nel sud, e a Bagdad è in cantiere un hotel a cinque stelle finanziato con fondi stranieri. A Najaf, città santa per lo sciisimo, nonostante gli attentati del passato, i pellegrini non si sono mai arresi. Ogni anno arrivano 8 milioni di persone, soprattutto dall’Iran.
Ma Bagdad non vuole solo pellegrini. Sogna gli anni ’70, quando francesi, tedeschi e giapponesi sceglievano l’Irak per le vacanze. Poi, scoppiò il conflitto con Teheran, l’Onu impose sanzioni al regime di Saddam, ci furono la guerra del Golfo, l’invasione americana, le battaglie, l’arrivo degli estresmisti, le bombe e le violenze settarie. È ora di cambiare immagine, dicono a Bagdad. L’Irak, infatti, come raccontano i manifesti appena stampati dal governo, è pur sempre la culla della civiltà, l’antico regno di Babilonia e le attrazioni non mancano. Il museo della capitale, saccheggiato nel 2003, ha da poco recuperato migliaia di pezzi; la cupola d’oro della moschea Al Askari, che inorgogliva Samarra prima di saltare in aria nel 2006, è in ristrutturazione. Bassora, celebre per il suo bel lungomare, è da poco stata bonificata, grazie a un’operazione dell’esercito iracheno, dalla presenza delle milizie sciite. Le rovine assire di Nineve, al nord, erano off limits perché vicine a Mosul, ultima roccaforte di Al Qaida.
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