La sfida di via Quaranta, a lezione sui marciapiedi

Solo due famiglie su 397 hanno fatto richiesta per inserire i figli in una pubblica dove si studia anche l’arabo

La sfida di via Quaranta, a lezione sui marciapiedi

Augusto Pozzoli

La scuola degli immigrati egiziani di stretta osservanza islamica ieri mattina è rimasta ancora chiusa, ma bambini e mamme, in tutto qualche centinaio di persone, hanno manifestato sui marciapiedi davanti al portone di via Quaranta 54 per chiedere la riapertura dell’istituto.
Resta dunque il rifiuto pressoché generalizzato alla proposta del direttore scolastico regionale Mario Dutto a iscriversi alle statali milanesi che già era emerso all’assemblea di domenica mattina al liceo scientifico Einstein, ma il fronte non sembra più compatto.
Ieri alle 17 come preannunciato dallo stesso Dutto, nella sede del Csa (l’ex provveditorato agli studi) di via Ripamonti si è aperto lo sportello presso cui è possibile concordare la scuola più vicina a casa disposta ad accogliere un alunno islamico e a cui insegnare anche l’arabo, per tre ore la settimana: due le richieste avanzate. Due sui 397 genitori egiziani che hanno ritirato le istruzioni in italiano ed in arabo.
C’è, insomma, chi preferisce seguire le regole di una scuola normale all’attesa di una scuola araba che ancora oggi non si sa come potrebbe essere realizzata. Ma l’attività dello sportello non si è limitata ad accogliere i due egiziani: «Un’altra quindicina di persone ha chiesto informazioni per telefono – dice Rosy Spadaio che coordina il servizio affiancata da un interprete –. Credo che comunque altri si siano rivolti direttamente alle scuole. Stiamo facendo il possibile per superare il muro contro muro che si è creato».
Difficile prevedere gli sviluppi della situazione, anche se al presidio di ieri in via Quaranta gli immigrati egiziani presenti erano più che mai determinati a chiedere la riapertura della scuola chiusa perché inagibile. «Insegno qui da 6 anni – diceva in arabo con un ragazzino che traduceva nella nostra lingua Said Mahfuz –. Nessuno ha mai fatto obiezione. Poi d’improvviso la chiusura, a pochi giorni dall’inizio delle lezioni. Non si fa così. Resteremo qui finché il problema non sarà risolto».
Il maestro egiziano, pare l’unico abilitato all’insegnamento, almeno secondo il sistema scolastico del Cairo, ha sostato sui marciapiedi di via Quaranta per tutta la mattinata di ieri con un gruppo di una trentina di bambini e ragazzi improvvisando una sorta di lezione all’aperto.
Un fatto più che altro simbolico attraverso cui Said ha voluto manifestare la protesta per la chiusura della scuola. Decine le mamme presenti. «I nostri uomini – diceva una donna col capo coperto dal chador – sono al lavoro. Un lavoro in regola, e paghiamo anche noi le tasse. I nostri figli sono nati quasi tutti in Italia, ma non vogliamo che perdano la loro identità. Dunque chiediamo che ci sia anche per loro una scuola egiziana in cui insieme all’italiano imparino l’arabo. Perché ad altre comunità straniere è permesso di farsi le scuole e a noi no? Solo perché siamo islamici? Sarebbe un a discriminazione inaccettabile».


Concetti già ampiamente illustrati durante l’assemblea dell’Einstein. «Lo sportello per aiutare le famiglie egiziane a scegliere una scuola statale dove iscrivere i figli - ha ricordato Dutto - resterà aperto ancora per tre giorni. Speriamo che prevalga il buon senso».

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