Roma«Solo perché per senso di responsabilità ho preferito tacere in molti già mi danno per morto da settimane. Staremo a vedere...». Silvio Berlusconi tira finalmente il fiato e dopo mesi in cui il barometro di Palazzo Grazioli non ha fatto che alternare piogge intense a vere e proprie tempeste finalmente su via del Plebiscito si registra una decisa schiarita. Confermata non solo dal tendenziale degli ultimissimi sondaggi elaborati tra lunedì e martedì da Euromedia Research ma soprattutto dalla convinzione che se l’asse tra Pdl e Lega resterà saldo fino alla fine l’ipotesi del governo tecnico non potrà che finire in cantina. Circostanza, questa, che starebbe prendendo piede anche ai piani alti della Camera con Fini che nasconde a fatica una certa preoccupazione. C’è infatti un dettaglio non indifferente: le quotazioni di un esecutivo di responsabilità nazionale sono direttamente proporzionali a quelle di un voto contro il governo quando il 14 dicembre Berlusconi si presenterà alle Camere per la fiducia. E la spiegazione è semplice: se si formalizza la crisi in Parlamento l’alternativa al governo tecnico sono le elezioni anticipate. Che su deputati e senatori con davanti ancora due anni e mezzo di legislatura (e stipendio) hanno lo stesso effetto del paletto di frassino sui vampiri. Ed è questo trend - al di là dei quattro-cinque finiani che al momento escludono di sfiduciare il Cavaliere e pensano di disertare il voto - a rasserenare il clima. Schiarito anche dalle perplessità che arrivano ai vertici di via dell’Umiltà da alcuni deputati di Udc, Mpa e gruppo misto. Tanto che Bossi non nasconde di «sperare» in altri passaggi dal Fli al Pdl.
Un ottimismo che non è di facciata, come conferma la chiacchierata tra Alfano, Verdini e Lupi «rubata» in un ascensore della Camera da un cronista dell’Asca. Ignari della presenza di un giornalista, infatti, Alfano e Verdini concordano sul fatto che «l’atmosfera è radicalmente cambiata». Perché Fini, dice il Guardasigilli, ha puntato su una «millantata» divisione tra Pdl e Lega che «non è mai esistita». Circostanza ribadita dal Senatùr: «Pieno sostegno al governo, la fedeltà a Berlusconi non è in discussione». Il Pdl, intanto, segue l’invito del Cavaliere e mette da parte divisioni e contrasti tra le diverse anime. Anche se ieri, al ministero delle Pari opportunità, si sono riuniti a pranzo i ministri di Liberamente (Frattini, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo) più Galan e la new entry Comincioli. Mentre a cena al Circolo dell’Aeronautica gli 85 parlamentari ex An hanno cenato insieme con La Russa, Gasparri, Alemanno, Verdini, Quagliariello, Lupi e Meloni. A contribuire all’umore di Berlusconi ci sono poi le rassicurazioni di Tremonti. Al premier, infatti, il ministro dell’Economia ribadisce che l’Italia non rischia affatto di fare la fine dell’Irlanda. Per poi spiegargli che contro l’ipotesi di un governo tecnico non c’è solo l’asse Pdl-Lega ma anche il fatto che in un momento così delicato per l’economia globale l’Ue - come già accaduto per la Grecia - considererebbe un esecutivo ponte una risposta decisamente debole. Segnali di schiarita, dunque. Confortati dalle elaborazioni della Ghisleri sulle ultime rilevazioni di Euromedia Research. È vero, infatti, che il Pdl si ferma a un non troppo entusiasmante 28,6%. Ma il dato va considerato sullo storico. E in questo senso si registra una tendenziale e costante risalita rispetto agli ultimi mesi. Con la «bolla mediatica» di Fini che si starebbe sgonfiando. L’altro elemento che rassicura, invece, è il 43% complessivo su cui si attestano Pdl più Lega più satelliti del centrodestra. Un dato destinato a crescere con un’eventuale campagna elettorale e che - con l’attuale legge elettorale - garantirebbe a Berlusconi una facile vittoria alla Camera e un probabile successo anche al Senato. E anche questo è un elemento di forte pressione sui tanti parlamentari indecisi in vista del 14 dicembre. «Il giorno - spiega il Cavaliere - in cui si deciderà se l’Italia può avere quella stabilità importante per resistere alla crisi». «Senza la fiducia», aggiunge il premier dicendosi scettico sull’ipotesi di un Berlusconi bis, «andremo al voto».
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