da Palermo
Soprannominato Diabolik e raffigurato sui muri come una pop star di Andy Warhol. Su Matteo Messina Denaro, organizzatore ed esecutore delle stragi di mafia del '93 di Roma, Firenze e Milano, latitante da quindici anni, finalmente si sa qualcosa di più. «Lultimo» boss ha affidato le sue considerazioni a un amico a cui ha dato il colto nome in codice di «Svetonio» e il carteggio nelle mani degli investigatori mostra un boss pronto a trattate questioni scottanti, dalla politica, alla giustizia, alla fede, ma anche un uomo fatalista, rassegnato a unesistenza che non gli piace per nulla, che quasi auspica si interrompa presto: «Non sfido la morte, più semplicemente la prendo a calci in testa perché non la temo, non tanto per un fattore di coraggio, ma perché non amo la vita, dopo la quale non cè nulla». Poi ancora: «Quando la morte verrà, mi troverò vivo, a testa alta e sorridente perché quello sarà uno dei pochi momenti felici che ho avuto in vita...».
«Ci sono ancora pagine della mia storia che si devono scrivere. Non saranno questi buoni e integerrimi della nostra epoca, in preda a fanatismo messianico, che riusciranno a fermare le idee di un uomo come me». Così scriveva Messina Denaro, nel 2005, in una delle tante e lunghe lettere ad Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, arruolato dai servizi segreti civili per fare da esca al latitante. Nelle lettere che Messina Denaro scrive a Vaccarino (ribattezzato con lo pseudonimo «Svetonio»), il boss non crede più in niente. «Oramai non c'è più il politico di razza, l'unico a mia memoria fu Craxi ed abbiamo visto la fine che gli hanno fatto fare... Oggi per essere un buon politico basta che si faccia antimafia...». E ancora: «Jorge Amado - cita il capomafia - diceva che non c'è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la politica e io sono d'accordo con lui. Da circa quindici anni c'è stato un golpe bianco tinto di rosso attuato da alcuni magistrati con pezzi della politica...».
Dalle lettere emerge come il boss trapanese si renda conto che attualmente Cosa nostra si trova ad un livello inferiore rispetto alla politica: «Non abbiamo più potere contrattuale, non abbiamo più nulla da offrire, chi vuole che si vada a sporcare la bocca per la nostra causa?». Lo scetticismo di «Alessio» era ed è rivolto alla classe che dirige il Paese. «Non vedo uomini, solo molluschi opportunisti che si piegano come fuscelli al vento, dico ciò con cognizione di causa, ed il peggiore è chi ne sta a capo, un volgare venditore di fumo e chiudo qua perché per iscritto non voglio andare oltre».
Ma non sono solo i politici a finire nel mirino del super-latitante, che si occupa anche di giustizia e pontifica sul sistema italiano, con riferimenti persino a uno dei «cattivi maestri» del terrorismo italiano. «Io sono un nemico della giustizia italiana che è marcia e corrotta dalla fondamenta. Lo dice Toni Negri (leader storico della sinistra extraparlamentare, ndr) e io la penso come lui», scrive senza mezze misure «lultimo».
Poi però, nonostante i riferimenti storici e intellettuali, lamara considerazione: il rimpianto per non essersi dedicato agli studi: «Il non aver studiato è stato uno degli errori più grandi della mia vita, la mia rabbia maggiore è che ero un bravo studente... se potessi tornare indietro...»
L'ultima lettera di «Alessio» a «Svetonio» è del 28 giugno 2006 e Alessio la scrive solo per mettere in allarme l'amico politico: Provenzano è stato trovato e con lui tutte le lettere inviategli dal boss di Trapani. Di ciò Matteo Messina Denaro si lamenta parecchio fino ad usare parole pesanti verso il vecchio boss. «Lei sa - scrive - a quello hanno trovato delle lettere, in particolare di quelle mie pare ne facesse collezione...tutto potevo immaginare ma non questo menefreghismo da parte di una persona esperta, comunque non vado oltre perché dovrei sbagliare a parlare e per abitudine non parlo mai alle spalle di alcuno».
«Lultimo» è ancora latitante eppure la sua influenza si fa sentire anche a distanza.
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