Sfogo del premier: «Gli alleati vogliono indebolirmi»

da Roma

Alle otto e mezzo della sera, la lettera annunciata da Silvio Sircana non l’aveva vista ancora nessuno, alla Stampa. «Se c’è, ce l’ha solo il direttore a Torino», spiegavano dalla redazione romana.
Il contenuto, però, era già stato fatto trapelare da Palazzo Chigi, e il senso di questa accelerazione era chiaro: Romano Prodi blinda pubblicamente il suo principale braccio destro, e stoppa le forti pressioni di chi, all’interno della maggioranza e dello stesso governo, stava reclamando le dimissioni del «portavoce unico» nominato ufficialmente dall’ultimo Consiglio dei ministri.
Una pressione salita ieri mattina fino a darle ormai per scontate, ad horas assicurava la Velina Rossa filo-dalemiana di Pasquale Laurito. «Sircana è a un metro dalle dimissioni, fosse per lui le avrebbe già date fin dal primo giorno. Ma Prodi non ne vuole sapere: non vuole mollare, perderebbe la faccia dopo quanto ha fatto per difenderlo», confidava un ministro ulivista.
E lo stesso portavoce del governo aveva fatto capire a più di un interlocutore di essere sul punto di farlo. «E’ una decisione su cui devo riflettere, ora che la vicenda del mio amico Daniele Mastrogiacomo si è conclusa positivamente valuterò cosa è meglio fare», ha detto ieri a Repubblica. In serata, da Palazzo Chigi, facevano però sapere che quel virgolettato riportato dal quotidiano diretto da Ezio Mauro era «falso».
E intanto dal quartier generale del premier si faceva trapelare il senso della lettera di Sircana alla Stampa: la richiesta di pubblicazione delle famose foto, e soprattutto una netta presa di distanza dal provvedimento preso dal Garante per la Privacy, il prodiano Pizzetti, che invece la vietava. E sempre da Palazzo Chigi (dove ieri lo stesso Sircana non ha messo piede, trattenuto a casa da un’indisposizione) arrivava il messaggio più netto: «Il portavoce unico del governo non ha alcuna intenzione di dimettersi dal suo incarico», riportava l’agenzia Ansa. Un secco avvertimento, firmato dal premier e indirizzato principalmente ai partiti della sua maggioranza.
Dietro le quinte, negli ultimi giorni, si è consumato infatti (e non è ancora finito) un durissimo braccio di ferro tra Romano Prodi e i suoi alleati. Certo, il 14 marzo scorso, il giorno in cui il caso è scoppiato con la pubblicazione dei verbali sul Giornale, Massimo D’Alema aveva fatto smentire che la richiesta di dimissioni di Sircana avanzata dalla Velina Rossa potesse «in alcun modo essere associato alle posizioni» del vicepremier diessino. Ma negli ultimi giorni autorevoli esponenti del governo e della stessa Quercia confidavano che il ministro degli Esteri quelle dimissioni le sollecitava, eccome. E con lui anche l’altro vice di Prodi, il leader della Margherita Francesco Rutelli. D’altronde i principali partiti della maggioranza avevano digerito malissimo il diktat imposto da Prodi durante la crisi, con quell’undicesimo punto del «dodecalogo» sulla nomina del portavoce unico che concentrava tutto il potere di esprimere la linea del governo nelle mani del premier e dei suoi più fidati collaboratori. E nella bufera politico-mediatica scoppiata attorno alla personale vicenda di Sircana avevano visto l’occasione per consumare la propria vendetta.
«Chiedere le dimissioni di Silvio è un modo per indebolire me», è stato in questi giorni il ritornello del premier.

Al quale ancora bruciano le dimissioni forzate, e anche lì imposte dagli alleati, di un altro suo braccio destro: «Non subirò un secondo caso Rovati», ha giurato Prodi. Ha convinto Sircana a resistere, resta da vedere per quanto e se ha convinto anche i suoi alleati a riporre le armi.

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