«È un piccolo conforto», dice Bruno Rosi, il papà di Luca. Gli assassini del figlio sono tutti in carcere, la banda che aveva terrorizzato le campagne e le ville isolate intorno a Perugia ha finito le sue scorrerie. All’appello mancava Dorel Gheorghita, 23 anni, tornato di corsa in Romania. Mimetizzarsi a casa della suocera non è stato sufficiente e ieri la polizia rumena l’ha ammanettato nella regione di Galati, non lontano dal confine con la Moldavia. È accusato di una sfilza di reati: c’era anche lui il 2 marzo scorso a Ramazzano, quando la rapina finì in tragedia. Luca Rosi, un bancario trentottenne, pur con le mani legate dietro la schiena provò in qualche modo a reagire quando capì che i banditi non si accontentavano dei soldi, ma volevano probabilmente mettere le mani sulla fidanzata. Per quel gesto eroico Rosi è morto, fulminato con quattro colpi di pistola. Ora il commando al completo, formato da tre rumeni, è in cella e in galera è pure il basista, il primo a essere ammanettato il 10 marzo Venerdì erano stati catturati al confine con la Slovenia Iulian Ghiorghita e Aurel Rosu: erano su un pulmino Mercedes che fa la spola con l’Est europeo. Pure loro erano rientrati precipitosamente in Romania, ma evidentemente erano convinti di averla fatta franca e così avevano deciso di rimettere piede in Italia. Ora si spera che la cattura dei tre venga pubblicizzata anche a Bucarest, dove la criminalità è convinta che l’Italia sia una terra di Bengodi. Un paese in cui c’è sempre un modo per sfuggire alla polizia e se anche non c’è, c’è poi la possibilità di sgattaiolare fuori dal processo e di limitare i danni.
La gang ha compiuto due colpi particolarmente odiosi: a febbraio la rapina di Resina in ci era stata violentata una donna di 54 anni, a marzo l’irruzione nella casa dei Rosi a Ramazzano. In più sembra che il gruppo abbia firmato un altro colpo nel giugno 2011, sempre in una villa, ma questa volta a Bastia Umbra. Certo, in molte frazioni nelle ultime settimane si viveva male, barricati fra le mura domestiche, con la paura di veder spuntare un’altra volta i criminali dell’Est. Ora la svolta. Ghiorghita è stato inchiodato dal Dna, compatibile al 100 per cento con quello del violentatore di Resina; inoltre, dopo essere stato bloccato, ha ammesso parzialmente i fatti spiegando di aver sparato perché Rosi si era ribellato; per carità, una confessione ai carabinieri non ha alcun valore, ma forse segnala che la pista battuta è quella buona. Rosu invece è stato tradito da un mozzicone di sigaretta che lo colloca sulla scena di Resina e Gheorghita è stato fregato dal cellulare: dalle intercettazioni si è capito che era rimasto in contatto con uno dei complici. Insomma, contro il terzetto ci sono molti elementi, comprese le imbeccate fornite agli investigatori da una Bianca, la fidanzata rumena di Iulian Ghoerghita, ma si procede per gradi: a Dorel Gheorghita si contesta solo il colpo di Ramazzano.
«Gli assassini di mio figlio - dice ora Bruno Rosi - sono bestie e andrebbero assicurati alla giustizia in posti adatti alle bestie e non alle persone. Purtroppo il dolore ha il sopravvento su tutto, ma almeno non faranno altro male. Ora la giustizia dev’essere molto dura».
Ma non è detto che sia così. Oggi ci sono varie possibilità di fa scendere l’asticella della giustizia: il rito abbreviato, ad esempio, viene usato dagli imputati con le spalle al muro per evitare l’ergastolo. Infatti garantisce lo sconto di un terzo e trasforma il carcere a vita in una pena a trent’anni. Tutto questo si vedrà però nei prossimi mesi.
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