Sharon lascia l’ospedale «È ora di andare Avanti»

Chiama Netanyahu e si congratula per la vittoria. Poi la telefonata di Bush che gli raccomanda: «Mangia meno, fai più sport e occupati del gatto»

Gian Micalessin

È pallido come un cencio, ma sorride come un bimbo all’uscita di scuola. «Sembra proprio che vi sia mancato...» sussurra alla folla di giornalisti mentre il balenio dei flash tira una spennellata uniforme che dal vestito blu invade il volto esangue e il capello candido. I medici lo guardano e scuotono la testa. Nella sua sanno già quel che frulla. Per tirarglielo fuori basta evocare il nome di Benjamin Netanyahu succedutogli ieri alla guida del suo Likud. Allora il redivivo Ariel Sharon affretta il passo verso la soglia dell’ospedale e fa segno di portarlo a casa al più presto. «È ora di ricominciare a lavorare – ridacchia come se i signori in camice bianco non l’avessero capito -, è ora di andare avanti». Quell’andare avanti, quell’andare kadima, come il nome del suo nuovo partito, sarà anche una battuta. Ma è una battuta vera. Domenica, quasi sicuramente, il premier guiderà la riunione settimanale del Consiglio dei ministri. E prima di allora si sarà certamente riavvicinato alla media lavorativa di 20 ore giornaliere. Tanto per cominciare ha trascorso il pomeriggio ad ascoltare gli aggiornamenti sulla situazione politica affrontando le questioni più importanti riguardanti la sicurezza. E per prima cosa, ieri sera, dopo aver telefonato a Netanyahu per congratularsi per la vittoria alle primarie del Likud, ha voluto avere tutte le informazioni possibili sui tre missili Qassam piovuti su Israele da Gaza. Collaboratori e consiglieri confessano di non poterci fare niente. Lo sanno già. Il premier bulldozer una volta alla scrivania travolgerà e triturerà le proprie cautele, le loro preoccupazione e le raccomandazioni dei primari.
Lo sa perfino l’amico George W. Bush. Il presidente lo chiama dalla Casa Bianca per raccomandargli di dare un taglio al cibo e al lavoro e pensare di più alla forma fisica e al riposo. «Spero che quando c’incontreremo fra qualche mese sarai almeno più magro – attacca il Bush salutista -, bada al gatto, fai un po’ d’esercizio e soprattutto dimentica un po’ d’impegni». Ma è come parlare ai muri dello Studio Ovale. «Guarda che ho bisogno di te» gli urla nella cornetta. E quell’altro fingendo un po’ di non sentire e un po’ di non capire ridacchia e gli risponde di sì, che lo farà, che da domani si riguarderà. Ma non ci crede neppure lui. E tanto meno i suoi collaboratori. Il grande tabù oltre al lavoro è la dieta. Il taglio a quella vagonata di carne in tutte le salse e dolci al cioccolato con cui il premier si strafoga alla fine delle interminabili giornate di lavoro. «Sto bene, sto bene vedrete che non ci saranno conseguenze» ripete mentre finalmente guadagna l’uscita dell’ospedale. I medici lo sanno. Le loro raccomandazioni lui le ha già dimenticate. Pensa già all’ultima scorpacciata. All’ultima mangiata di kebab, spezzatino d’agnello, hamburger e bistecche in salsa chimmichurri spazzolati tutt’insieme, in una sola cena, la sera prima di finire all’ospedale. «Nessuno ha ancora avuto coraggio di chiederglielo. Del resto è dal 1965 che i medici gli raccomandano di stare a dieta, non penso riusciremo a convincerlo neppure stavolta» ammette sconsolato il segretario di Gabinetto Yisrael Maimon.
Nonostante la malattia l’impenitente Sharon e la sua creatura restano i favoriti degli israeliani. I puntuali sondaggi fatti realizzare dai quotidiani Maariv e Yedioth Akhronot parlano chiaro. Se si votasse oggi, secondo Maariv, il premier uscente e il suo nuovo partito conquisterebbero grazie ai voti di un «grande centro» 42 dei 120 seggi della Knesset, lasciandone appena 22 ai laburisti di Amir Peretz e 13 al Likud di Netanyahu. Sharon, come scrive Maariv, si confermerebbe insomma «il padre di tutti gli israeliani». La parte più sorprendente del rilevamento targato Maariv è, però, quella da cui emerge che Kadima sarebbe in grado di muovere i primi passi anche senza l’ingombrante padre padrone. In particolare se a guidarlo fosse l’energica signora Tzipi Livni, oggi ministro della Giustizia, il partito riuscirebbe a conquistare almeno trenta seggi. E se al posto della Livni ci fosse il ministro delle finanze Ehud Olmert, vero braccio destro di Sharon, il risultato sarebbe inferiore al massimo di quattro seggi.
L’ictus che ha colpito Sharon sembra dunque aver prodotto l’effetto opposto rispetto a quello pronosticato dagli analisti.

Invece d’allarmare gli israeliani e metterli alla ricerca di una formazione meno legata alla figura del proprio leader li ha convinti del ruolo centrale di Kadima, della sua capacità di fungere da trave portante dei nuovi scenari politici disegnati dalla rivoluzione targata Ariel Sharon.

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