«Shen Yun» accusa la Cina comunista

da Milano

Il legame con la madrepatria resta vivido, come quei colori che esplodono sul palcoscenico. La gioia e il dolore legati alla casa lontana e alla sua storia, pure. Non stupisce che nell’ampia sala dell’Allianz Teatro, in occasione della prima delle due sole date italiane (ieri e oggi) di Shen Yun Chinese Spectacular, i volti che parlano d’Oriente siano molti: lo show della Divine Performing Arts di New York, compagnia di danza e musica cinese divenuta una star del genere musical nel mondo, ha uno scopo duplice. Il primo è quello di raccontare per massimi sistemi, ed emozioni evidenti come fiammate, la Cina ai non cinesi. Il secondo, più struggente ma anche più determinato, di ricordare ai cinesi esuli o espatriati per i più vari motivi il sapore pungente di quell’immensa patria dalla quale vicinanza e lontananza fanno un tutt’uno con sentimenti come vita e morte, felicità e disperazione, amore e odio.
In due ore di spettacolo intrecciato di danze, acrobazie, tamburi etnici, melodiose arie liriche e racconti mitologici, Shen Yun Chinese Spectacular vuole essere una cavalcata di colori e suoni attraverso le varie epoche storiche della Cina, con la non troppo celata affermazione - attraverso numeri di danza e storie che narrano di amore, guerra, sopruso e riscatto - che il passato, anche quello remoto della prospera e mitica dinastia Tang, è molto meglio del presente. Quest’ultimo è quello denunciato senza compromessi artistici sin dal secondo numero dello show, il brano lirico nel quale la soprano Min Jiang canta dei «cinquant’anni di menzogne che hanno edificato la Muraglia Rossa», dei «manigoldi» che hanno «macchiato la nostra gloriosa cultura».
La denuncia del regime di Pechino riaffiora in altri numeri di danza, dove guardie armate di manganello e con i simboli della falce e martello sulla divisa reprimono qualsiasi dissenso o dimostrazione di fede.

Perché la fede è uno degli argomenti portanti di questo spettacolo, realizzato da parecchi esponenti della setta Falun Gong, divenuta celebre in occidente proprio per le repressione che subisce nella Cina popolare assieme ad altre religioni e filosofie come il cattolicesimo e il buddismo. Ciò che resta a uno spettatore occidentale di uno show come Shen Yun è, inevitabilmente, un’orgia di colori e di passioni umane e musicali, oltre a un istinto pedagogico quasi primitivo, forse naïf per il nostro gusto.

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