Il dibattito sull’opportunità o no di tenere aperti i negozi la domenica ha finora partorito un arlecchino, molto italiano ma poco efficace. Le regole per le aperture variano a seconda della regione, del comune e in certi casi persino della zona: il risultato è che la gente non sa mai che cosa può aspettarsi e preferisce fare la fila negli orari «soliti», magari maledicendo la calca o il parcheggio che non si trova, piuttosto di rischiare un viaggio a vuoto. Le analisi pubblicate in questi giorni da Federdistribuzione, se pur di parte, sono difficilmente contestabili: l’apertura domenicale potrebbe portare un beneficio pari a mezzo punto percentuale sul pil e a un incremento delle vendite pari al 2%, questa almeno è l’esperienza nelle (poche) regioni che hanno liberalizzato le aperture, dove la domenica si è presto rivelata essere il secondo giorno più produttivo, dopo il sabato. Non è però solo una questione di Pil, ma di logica. Il mercato del lavoro in Italia è estremamente rigido e tale rigidità include quella di orario, con il risultato che i periodi di apertura degli esercizi commerciali si sovrappongono in larghissima parte agli orari normali di lavoro e conseguente «effetto gregge». Avere tutti che fanno contemporaneamente le stesse cose non aiuta né il pil né la qualità della vita (e di quella ce n’è una sola, peccato sprecarla in code).
Battersi contro le rigidità, i vincoli, le ruggini e le costrizioni dovrebbe essere una priorità per un governo di centrodestra: come al solito le resistenze sono forti ma questa potrebbe essere una delle occasioni che la situazione di crisi offre, vale a dire, sulla spinta della necessità di aiutare l'economia e l'occupazione, riuscire finalmente dove in passato si è sempre fallito. La soluzione legislativa, senza entrare nel campo minato delle autonomie locali, sarebbe semplicissima e drastica: si deve stabilire che non si possono vietare le aperture degli esercizi commerciali in specifici giorni o periodi, lasciando se mai la possibilità di divieto solo alle chiusure, per evitare fenomeni tipo la «serranda selvaggia» agostana al nord. In breve: si può vietare di chiudere ma non di aprire se uno volesse.
Un mondo più flessibile dovrebbe portare con sé anche la flessibilità di orari e giorni per i lavoratori a tempo indeterminato: che senso ha tenere il personale a guardare la parete nei periodi vuoti per poi riempirsi di precari per fare fronte ai periodi di punta? Anche se con l’ultimo rinnovo qualche passo avanti si è registrato, contratti più «intelligenti» che, a parità di ore lavorate, ne consentano una libera allocazione (con adeguato preavviso) nel corso dell’anno, sarebbero un’arma forte contro disoccupazione e precariato, rimuovendo una delle remore alle assunzioni definitive. Non c’è da stupirsi infatti che i sindacati di solito non ne vogliano sentir parlare.
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