Como - Spiace molto per quel tizio che si è portato avanti con largo anticipo, chiedendo di prenotare telefonicamente qualche posto di prima fila. Come per la stagione della Scala e per lo show di Fiorello. L’ha chiarito subito, da vero signore: non c’è problema di prezzo. Dal Comune di Como, l’agenzia che gestisce la promotion dell’evento, è arrivata una risposta laconica: spiacenti, i biglietti non sono in vendita. E comunque sono già esauriti. Solo sessanta i posti a disposizione, trenta per il pubblico e trenta per la stampa. Sono andati via come il pane.
Credevamo di avere visto tutto. Con il processo di Cogne, oltre ogni dire. Ma l'assise che si apre domani dimostra che non è giusto darci limiti: siamo comunque in grado di oltrepassarli. Dopo la strage di Erba, sembra che tutti quanti si siano dati di gomito, incitandosi a vicenda: forza, si può dare di più. Tiriamo fuori il peggio. E sono fiorite le aberrazioni.
Sì, per quante già se ne siano viste, per quanto già il nostro metabolismo abbia dovuto assimilare, in questi anni deliranti di gossip truculento, non bisogna perdere la lucidità di definirle con l'unico nome possibile e adeguato: aberrazioni. È così sin dalle prime battute, come se un richiamo diabolico guidasse attori e comparse dell'incredibile messinscena.
In questa storia comincia ad essere aberrante la parte della vittima principale, cioè l'unico sopravvissuto della famiglia sterminata, quell'Azouz che troppo frettolosamente molti di noi volevano subito colpevole, ma che poi è riuscito a trasformare la propria innocenza e il proprio lutto in un colossale reality mondano. Moglie, figlio, suocera ammazzati ferocemente, e lui poche settimane dopo in giro con i Fabrizi Corona e con la bella gente della Milano-moda. A seguire, l'oscura faccenda della droga, che di fatto lo restituisce alla diffidenza dei compaesani e in fondo di tutti gli italiani, increduli di fronte a tanta disinvoltura dopo tanto sangue in casa.
Ma detto di Azouz quello che va detto, non possiamo nasconderci il resto. E cioè questo senso di gelo e di imbarazzo, davanti allo sbalestrato circo equestre che accompagna l'inchiesta lungo tutto il suo tragitto, fino al processo di domani. Abbiamo veramente dato fondo anche alle nostre risorse più nascoste. Udienze televisive, in prima serata e nei rotocalchi di metà pomeriggio. Pulsioni razziste - all'inizio - e quindi analisi sociologiche sulle nevrosi della provincia piccola, con un allarme specifico per i rischi che corriamo sul pianerottolo di casa. Si è sviluppato persino un filone battutista, con questa comicità cinica che si compiace di esorcizzare tutto, persino una strage, con frasette del tipo «meglio l'erba del vicino che il vicino di Erba». Infine, la febbrile attesa per il grande appuntamento, con la gente in fila sognando uno dei trenta biglietti, assalto in netta controtendenza rispetto a quanto avviene nel calcio e nel cinema, sempre più disertati, e chissà se è soltanto perché film e partite si pagano cari mentre i processi no.
Il sospetto è che le aberrazioni, ormai, siano dentro di noi, sotto la cotenna, sviluppata con processo quasi darwiniano di evoluzione della specie: il delitto come spettacolo, il crimine come happening, il processo come evento. E il nostro bisogno di esserci, di ritagliarci un posto in prima fila, di ficcarci il naso e di tifare sonoramente. Come facevamo una volta all'arrivo dei Rolling Stones, o ai matrimoni delle regine.
Che il Comune si veda costretto a disciplinare l'assalto, preparando biglietti d'ingresso, non ha nulla di eclatante. Tanta caciara va in qualche modo disciplinata. L'aberrazione non è questa. La vera aberrazione, l'ultima della serie, la peggiore di tutte, è un'altra: col passare dei giorni, senza neppure spaventarci di noi stessi, ci siamo scordati il nocciolo della questione. Una faccenda molto semplice, di suprema importanza: rendere giustizia umana a quattro morti e a un ferito, miracolosamente sopravvissuto.
Interessa ancora, tutto questo? Dall'aria che tira, sembra interessi di più vedere che faccia faranno Olindo e la sua amata signora Rosa. Se si scambieranno tenerezze, così da poterli magari titolare «Piccioncini di satana». O roba del genere. Per questo, c'è ressa al botteghino.
Cristiano Gatti
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.