Show di Ferrante per pochi intimi «Ripartiamo dall’antifascismo»

Storie strappalacrime e attacchi alla Moratti: così l’ex prefetto chiude al Piccolo la campagna. Sfilata di vip, intellettuali e politici. Bocca dallo schermo: «Lo voto perché è una persona normale in un tripudio di pazzi»

Sabrina Cottone

«Presentatori ce ne sono tanti, noi vogliamo un sindaco» scherza (non si capisce fino a che punto) Roberto Zaccaria, deputato e ex presidente della Rai, dopo aver assistito alla performance strappalacrime di Bruno Ferrante. La recitazione è quella che è, chissà che penserebbe Giorgio Strehler dell’ex prefetto che declama passeggiando nel fascio di luci del suo teatro. Ma Ferrante non teme il ridicolo e ispirato dalla competizione con Dario Fo, conclude la campagna da attore tragico: debutto con il sempreverde «dobbiamo ripartire dall’antifascismo» a caccia degli applausi in sala.
Non è un pubblico da grandi occasioni (molti buchi in platea, balconata semideserta) quello che si beve la storia di Vichi, bimbo albanese clandestino arrivato in gommone dall’Albania, gli orrori della traversata diventati il recital delle primarie, la mozione del cuore per il futuro di Milano. «Mi auguro che la nostra società non costruisca altri fantasmi» conclude accorato l’uomo che oggi affronta Dario Fo (e Milly Moratti e Davide Corritore) per la disfida finale delle primarie dell’Unione.
Ferrante attacca Letizia Moratti per aver fatto il ministro della Repubblica negli interessi della Repubblica invece che di Milano. «Ha mostrato indifferenza per la città e grande lontananza. Che cosa ha fatto per la città? Nulla» è la critica che lascia intendere una velata nostalgia per i ministri ancien régime, quelli che facevano costruire strade e autostrade vicino casa loro. Poi la tirata moralistica: «La Moratti ha promesso ai milanesi di farli diventare più ricchi, l’ho già sentito dire da altri...». Gad Lerner, dal megaschermo, va giù ancora più pesante: «La Moratti appartiene alla tecnocrazia miliardaria separata dai problemi della città». Una stoccata (via Radio Popolare) arriva anche dall’omonima Milly: «Vorrei che le mie idee non si confondessero con le 100 idee confuse di mia cognata, che sono vecchie e già orecchiate».
Gli ospiti salgono e scendono dal palcoscenico per sostenerlo, moderati dal giornalista Giuseppe Ciulla, che fa intervenire per primo il videoregistrato Giorgio Bocca. «Il motivo per cui voterò il signor Ferrante è che mi sembra una persona normale in un tripudio di pazzi» è il massimo omaggio che concede all’ex prefetto in corsa per fare il sindaco di Milano. Una specie di «turatevi il naso» all’ennesima potenza. Ferrante ricorda un biglietto che nel 2002 gli spedì proprio Bocca e che suona, oggi più che mai, in tutta la sua profetica ambivalenza: «In lei vedo sempre più un sindaco e sempre meno un prefetto».
Arriva Vincenzo Consolo, lo scrittore che promette da un decennio di abbandonare la città mal amministrata e invece è sempre qui, a raccontare la decadenza della «patria immaginaria, diventata una città che respinge chi viene da fuori». La colpa, neanche a dirlo, è del Cavaliere: «Dobbiamo cancellare il berlusconismo e la cultura televisiva». E è qui, nell’attacco a Berlusconi, che il popolo della sinistra ritrova la verve che sembrava annegata tra ritratti horror della periferia milanese con sottofondo musicale da Twin Peaks, recite da Madre coraggio, disgrazie in drammatica sequenza. Tutti tirano un sospiro di sollievo quando si materializza il fantasma di Silvio. «È apparso più lui nell’ultima settimana che la Madonna di Medjugorje in tutta la sua storia» va sul sicuro il comico di Zelig e risolleva il morale delle truppe asfissiate dall’aria di tragedia. Neppure il genio di Moni Ovadia si tiene lontano dal più trito dei cliché e ecco i discorsi del premier diventare «le chiacchiere farneticanti del buffone che abbiamo al governo». Attacchi rabbiosi come da copione.
Eugenio Finardi la butta in musica e canta «Oggi ho imparato a votare», una parafrasi a onor di Ferrante del suo cantatissimo «Oggi ho imparato a volare e non me ne voglio più dimenticare».

Arriva la Canzone popolare, le note di Ivano Fossati che alle manifestazioni dell’Unione sono il festoso «libera tutti» dei compagni. La recita è finita, adesso tocca a Dario Fo. Lì sì che c’è un gran pienone, è l’ennesimo Mistero buffo tutto esaurito.

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