«Quello dei politici di oggi è un linguaggio privo di futuro». Astenendosi da un giudizio politico, Federica Montevecchi, filosofa che si occupa di storia politica, emette il suo verdetto. Linguistico.
Dottoressa Montevecchi, intende dire che non siamo più capaci di progettare?
«Al momento siamo chiusi in un eterno presente, alla ricerca di un consenso immediato e con contenuti sempre più poveri. È preoccupante il modo in cui abbiamo rinunciato al futuro».
A chi si riferisce in particolar modo?
«A tutti. Salvini, Di Maio e prima ancora Grillo, l'uomo della rabbia. I suoi discorsi sono fatti di emozioni velenose ma non costruttive. Ha spostato il riferimento dall'io a un fantomatico popolo della rete, contribuendo a far perdere l'identità del pensiero. Di Maio è solamente un esecutore, anche linguistico, che ricalca le modalità grilline. I suoi contenuti sono molto poveri e nei discorsi è assente la speranza. Distrugge e basta».
E Salvini, re dei social e della politica in felpa?
«Anche Salvini usa le parole della paura e del risentimento e lo fa urlando, con un atteggiamento volutamente rozzo, mi passi il termine, che solletica le emozioni più primitive. Spaccia tutto questo per autenticità ma così non è e interpreta la parte del popolano».
Voleva dire populista?
«No, no. Popolano. Mai come in questo momento il popolo non conta niente. Mi viene in mente David Hume, filosofo del Settecento, che sottolineò come il controllo dell'opinione pubblica mostri la facilità con cui gli uomini siano pronti ad abbandonare al volere altrui il proprio destino, con il risultato che al popolo resta solo il compito di spettatore».
Spettatore di cosa?
«Ad esempio di linguaggi politici privi di problematicità, sempre e solo assertivi. Non c'è più la ricerca, la volontà di capire. L'opinione dell'elettore è considerata solo in vista della progettazione del consenso».
E così noi siamo diventati elettori-tifosi?
«È accaduto perché il linguaggio politico ha abbandonato la retorica. Cioè punta sulla pancia e sull'emotività e non più sul sentimento e sulla prospettiva».
Quando
riscopriremo il senso del futuro?«Quando avremo di nuovo gli strumenti intellettuali e sentimentali (non emotivi) per capire, pensando con la nostra testa. Non a caso Kant poneva il sentimento fra intelletto e ragione».
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