Luna di miele finita tra Fiat e sindacati. Sembrano lontani, eppure non è passato neppure un anno, i momenti in cui lex Cgil, Fausto Bertinotti, indicava Sergio Marchionne come «modello» da seguire («è un borghese che mi interessa», disse dopo aver ascoltato il discorso dellad della Fiat allUnione industriali di Torino) e Guglielmo Epifani, leader del sindacato comunista, commentava lopera del top manager come «il modo corretto di interpretare la funzione di dirigente industriale».
Ieri, a disseppellire lascia di guerra, è stata la Fiom, ovvero i metalmeccanici della Cgil. A scatenare la loro reazione sono stati i brontolii saliti dai corridoi del Lingotto, e riportati dal Giornale, secondo cui il modo di agire e di pensare dei sindacalisti non è cambiato di una virgola rispetto a 40 anni fa. Quindi, assenza di lungimiranza e nessuna predisposizione ad accettare i cambiamenti dettati dalle nuove esigenze industriali e della competizione a tutto campo, con il forte rischio di costringere lazienda a dirottare investimenti e attività produttive in altri Paesi. Ecco, allora, che lex «modello» Marchionne, secondo la Fiom, usa parole «ingenerose» e «non condivisibili». Al centro della disputa resta il nodo della flessibilità che i metalmeccanici della Cgil giudicano «coercitiva», come «gli straordinari obbligatori». Eppure, solo a settembre, il segretario dei Ds, Piero Fassino, riconosceva come errore il rifiuto «di una flessibilità connaturata a un mercato non più racchiuso nei confini nazionali». Il vero problema, per Fassino, era da ricercare su «come gestire la flessibilità». E Marchionne, al riguardo, aveva «colto nel segno». Gli operai, a questo punto, sono a un bivio: per Marchionne devono scegliere da che parte stare. Negli anni Sessanta (e allinterno di fabbriche senza futuro, scavalcate nellefficienza dai siti oltre confine) o allinterno di un sistema dove salari e produttività viaggiano paralleli.
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