Si punta sulle scuole tecniche: «Lo chiede il mercato»

A scuola, (istituto tecnico Marie Curie), si coltivano le piante officinali per produrre olii essenziali, balsami respiratori, creme, saponi, pomate. Si parte dal seme (biologia) e si arriva al prodotto (fisica e chimica). Oppure, (Iti Mattei), si inventa un «carrello di spinta per la mobilità sostenibile» da agganciare alla bicicletta, a propulsione elettromuscolare. È adatto al trasporto di svariati oggetti.
Sono solo un esempio di come si studia - e si impara - agli istituti tecnici e professionali. Ieri quindici scuole hanno presentato i loro lavori più belli al convegno «Scuole in azione per progettare il futuro» promosso dall’assessorato all’Istruzione della Provincia e dal Cisem, centro per l’innovazione e la sperimentazione educativa. Protagoniste le scuole pregiudizialmente considerate di serie B che la Provincia vuole far conoscere perché «in grado di formare competenze sempre più richieste dal mondo del lavoro - ha dichiarato l’assessore all’Istruzione provinciale Marina Lazzati - Le iniziative che abbiamo visto quest’oggi sono all’avanguardia in più settori: ambientale, sociale, turistico, tecnologico». Gli allievi del’Itcgpa Argentia di Gorgonzola hanno presentato un sito e un database sull’ alimentazione, l’Ipsct Bertarelli un’impresa formativa di agenzia di etno-etico turismo e l’Ipsia Marcora di Inveruno un dissalatore per addolcire le acque salmastre, a sostegno delle popolazioni in debito di acqua dolce.
«Oggi più che mai è necessario che la formazione si adegui alle richieste del mercato perché i giovani riescano a trovare un lavoro» ha commentato Paolo Giovanni De Nero, assessore provinciale allo Sviluppo economico.
I dati del ministero mostrano però un altro trend. Queste scuole piacciono meno dei licei. «Dieci anni fa gli istituti tecnici e professionali contavano oltre il 64 per cento degli studenti iscritti - ha mostrato Giovanni Cominelli, coordinatore d’area formazione lavoro del Cisem - Quest’anno i tecnici sono al 31,7 per cento (dal 2004 -3,5 per cento; dal 2009 -1,7 per cento). Pur costituendo ancora la scelta prevalente degli adolescenti, sono calati al 50,7 per cento del totale». Le ragioni di questa disaffezione sono svariate. Secondo gli esperti è diffusa «fra la classe dirigente del paese una cultura licealista, dalla scuola, all’università, al Parlamento, ai giornali»; il benessere delle famiglie ha comportato la possibilità di tenere i figli più a lungo a scuola senza l’urgenza di inserirli nel mondo del lavoro. Il risultato? «Un’iscrizione massiccia ai licei e alle facoltà universitarie che conferiscono lauree che non c’entrano nulla con il lavoro che effettivamente i giovani riusciranno a trovare e che, di fatto, alimentano la disoccupazione» è convinto Cominelli.

In un anno, a livello nazionale, l’istruzione tecnica è scesa dal 34 per cento al 31,7 per cento, quella professionale dello 0,9 per cento, ma in Lombardia e in Veneto il calo supera il 3 per cento. I licei classici diminuiscono dal 10 per cento al 7,1 per cento e i licei linguistici arrivano fino al 5,7 per cento. L’area della formazione linguistico-letteraria registra un incremento pari a quasi il 4 per cento.

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