La pace di Antonio Tarantino è lultima fatica dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa al Teatro Verdi di Milano fino a venerdì. Un testo poetico e ironico, tragicomico, che vede sul palcoscenico due personaggi della nostra storia più recente, Arafat e Sharon, i nemici uniti in un comune esilio immaginario tra il deserto e il mare. Simili nella sventura, grotteschi con le loro maschere, diventano luno il perno dellaltro. Arafat è il regista Marco Isidori, Sharon è Paolo Oricco, con tanto di casco rovesciato in testa, il simbolo del dollaro scolpito e bandierina bianca sdrucita piantata su in segno di resa. Una enorme ragnatela metallica domina la scena: è la trama del destino, della politica. Sulla tela del ragno ciondola sinuosa la Strega insonne, lironica Puttana, la Madre funerea, una Trinità Femmina testimone della follia della guerra.
Strega, Puttana e Madre è Maria Luisa Abate, la Voce dei Marcido. «Chi pensa il male non può chiudere occhio - dice la Strega - e io non posso cedere alla stanchezza». La coscienza del male lascia spazio alla risata beffarda della femmina di facili costumi che conosce entrambi i politici e li associa, dichiara che sono identici. Le parole amare, alte e comiche di Tarantino vivono attraverso i corpi di tre attori perfetti, in uno spazio pensato dalla scenografa Daniela Dal Cin. Al centro una alta pedana di legno, rotonda. Elemento scenico che diventa barca, orso minaccioso, barriera tra due che vagano attaccandosi e sostenendosi, in una continua altalena che fa dire: «Io non so più chi di noi due porti sfiga allaltro».
Sconfitti e stanchi, deposti dai propri parlamenti, Arafat e Sharon procedono riflettendo sul senso politico delle loro disgrazie.
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