L’Italia coltiva un segreto che non ha il coraggio di confessare: è un paese monarchico che ha bisogno di un re. Ha votato Berlusconi perché è un monarca e ogni votazione con lui è un referendum tra monarchia e repubblica dei partiti. Quando lo accusano di essere un monarca non capiscono che gli fanno il miglior complimento perché lo riconoscono espressione diretta e verace del suo popolo. Quando poi ad accusarlo di essere un monarca sono gli stessi che furono fatti principi e baronetti nel segno della monarchia, allora ci scappa da ridere e da piangere. Non vi rendete conto che il suo peccato principale, il virus regale, coincide con la ragione del suo successo e di conseguenza del vostro?
L’Italia ha bisogno di un re sia sul piano simbolico perché vuole una figura di leader, di arcitaliano, che incarni il concentrato nazionale del suo popolo; sia sul piano pratico perché esige un decisore, un capo, che non si perda nel fumo delle mediazioni ma si assuma la responsabilità di decidere. Non vuole un dittatore, ma un re, che è figura temperata e gentile, perfino gaia e lussuosa, che conduca per mano e non trascini il suo popolo, indulgente, che rassicuri e non minacci, amato dal popolo, e dunque votato e giudicato, e non un arcigno tiranno, come sono in potenza tanti loschi regicidi. Anche se poi, nella nostra breve esperienza di regno, a eccezione del primo, un re l’abbiamo ucciso, l’altro costretto alla fuga e l’ultimo all’esilio.
Il paese reale, e mai espressione fu più pertinente, predilige il re alle sette, ai partiti, alle cosche, alle logge e alle conventicole. Quel che chiamiamo populismo è spesso monarchia popolare. Berlusca ha testato la sua regalità nei regni più consoni a lui: la televisione, lo sport, il commercio, gli affari.
Certo, l’istinto monarchico degli italiani ha un gemello in ombra che è l’istinto anarchico: l’uno resta il principio elementare di organizzazione, l’altro di disorganizzazione; con l’uno ci chiamiamo dentro l’Italia, con l’altro ci chiamiamo fuori e badiamo solo ai fatti nostri. Anzi, a volte, si sogna l’anarchia all’ombra della monarchia, il rex come alibi per eludere la lex. È questo il pozzo nero dell’istinto monarchico e va denunciato.
Ma questo è un paese di anarchici monarchici, che patisce quando cerca vanamente di tenersi nel mezzo, attraverso la concertazione delle baronie, il compromesso dei potentati, senza mai riuscirvi. Tra l’anarchia e la monarchia il nostro paese non ha trovato una via di mezzo più efficace della consorteria, che di razza in casta, in loggia, in cricca, e degenera in mafia. Ma il nostro è un paese di solisti, che alla fine invocano il Solista Principale e lo proclamano Re.
Il presidenzialismo, che gli italiani preferiscono da anni al parlamentarismo, è solo un travestimento di quell’istinto monarchico, un espediente per renderlo presentabile e compatibile con i nostri tempi. Gli italiani sono più monarchici dei pur numerosi paesi europei che sono ancora regni. Solo che con un processo unitario così maldestro e una dinastia piemontese così discussa e straniera per tanti suoi sudditi, accusata di gravi repressioni nel Sud e di spirito anticattolico, poi criticata per la subordinazione al fascismo e per la cosiddetta fuga di Pescara e Brindisi, infine vituperata per lo sfaldarsi poco regale della dinastia nei suoi epigoni, non possiamo permetterci il lusso di invocare il ritorno del re e dei reali. La storia ci ha disattivato il contratto con il re, ha disabilitato il paese alla monarchia. Non abbiamo a disposizione una dinastia credibile. Ma è quel che sotto sotto vorremmo. E così lungo la strada abbiamo sempre cercato reucci, surrogati di re, corone di passaggio, divi, cantanti e calciatori che fossero monarchi. Dai più infimi al Papa Re, un Sovrano elettivo, garantito dall’alto, che rispetto al Re padre, è una specie di Re Nonno. Tra i supplenti del re spicca la dinastia piemontese degli Agnelli che hanno esercitato la regalità nel potere economico, stradale e nell’immaginario collettivo del nostro paese. Anche le folle comuniste da noi hanno sempre acclamato i loro re, da Stalin a Togliatti, da Mao e a Castro, o in versione democratica, da Kennedy a Obama. L’indole delle folle latine e mediterranee propende per il re-capo: e laddove è impraticabile il re, come nella Francia repubblicana e rivoluzionaria, hanno sfornato napoleoni e degaulle, cioè sovrani senza dinastia ma con grandi poteri e grandi ambizioni.
Quando perse la figura paterna regale, perché il re era ormai remoto, l’Italia si rifugiò nella figura della regina madre, la Democrazia cristiana. La Dc era una mamma collettiva che faceva le veci del Padre assente e per ingannare l’attesa del Re e tirare a campare, disfaceva di notte quel che filava di giorno. Così sfiancando i suoi proci, rinviando, mediando e logorando, la penelope democristiana ha governato la casa per anni, vedova virtuale del Re.
L’Italia avrebbe forse bisogno di una piramide di monarchie: sovrani con pieni poteri che decidono nei rispettivi regni di competenza, territoriali e settoriali, e poi rispondono del loro operato, culminando infine in un sovrano che siede nel Palazzo dei Papi e dei Re, il Quirinale, o nella sua dépendance di Palazzo Chigi.
Non penso che la formula monarchica vada cucita su misura per Berlusconi ma penso che aderisca all’Italia anche oltre Berlusconi. Una monarchia elettiva popolare, libera e democratica, che non sia il preludio alla tirannide ma nemmeno il paravento dell’anarchia.
Non so se la monarchia sia la forma politica migliore, però quando vedo i satrapi della partitocrazia, mi vien voglia di gridare «viva il Re»; o «viva la Regina», magari di quelle sovrane sobrie, con le suole bucate, come la vecchia, cara Elisabetta d’Inghilterra...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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