nostro inviato a Washington
L’approccio è quello naturale e istintivo di sempre, segnato dalla simpatia che lega Silvio Berlusconi a George W. Bush in un sodalizio politico e umano al di sopra di ogni sospetto. Ma l’enfasi, le sottolineature e le dichiarazioni di stima reciproca che il premier italiano e il presidente statunitense si scambiano nella dichiarazione congiunta pronunciata nello Studio Ovale della Casa Bianca sono un chiaro strumento che i due «amici politici» imbracciano per dissipare le ombre e scacciare gli spettri che qualcuno ha voluto agitare sui rapporti italo-statunitensi negli ultimi giorni.
«Quella di Berlusconi è la visita di un mio amico, con lui ci vediamo spesso e ogni volta apprezzo i suoi consigli», attacca l’inquilino della Casa Bianca. «Io dico grazie a Silvio per il forte impegno per la libertà in Afghanistan e in Irak. Le nostre relazioni sono forti e importanti. Siamo grandi partner in difesa della pace».
La replica del premier italiano è sintonizzata sulla stessa tonalità. «Fa piacere trovare un amico e il leader di un Paese amico», dice Berlusconi. «Un Paese cui l’Italia è eternamente grata per quello che gli Stati Uniti hanno fatto per liberarci dai totalitarismi del secolo scorso. Sono orgoglioso di essere accanto all’alleato americano nell’estendere le frontiere di libertà e democrazia nel mondo e perseguire un obiettivo di pace che tutti noi desideriamo. Sono molto ammirato dalla leadership di Bush, che procede nelle sue decisioni con assoluta coerenza. Credo che quanto fatto da Bush resterà nella storia. Ha saputo guardare lontano e ha portato avanti una missione di democrazia a cui l’Italia contribuisce con entusiasmo».
I due leader non rispondono alle domande dei giornalisti, com’era stato precedentemente convenuto, per non alimentare l’enfasi sul Cia-gate, il ciclone che sta investendo l’amministrazione statunitense in queste ore. Berlusconi, però, dopo il pranzo con Bush, si sposta all’ambasciata italiana. Convoca una conferenza stampa e torna sui contenuti dell’incontro, rivelando che gli Stati Uniti temono un eventuale passaggio del testimone politico in Italia e una vittoria dell’Unione di Romano Prodi. «Con Bush ne abbiamo parlato», dice rispondendo a una domanda di una giornalista, «ma nel senso che gli ho garantito che vinceremo noi le elezioni. Il governo statunitense teme un cambio politico in Italia per i progetti annunciati dalla sinistra. Ovviamente Bush non usa interferire nei problemi interni, specie in periodi elettorali e pre-elettorali. Ma è chiaro che c’è preoccupazione, visto che la sinistra ha annunciato che in caso di vittoria procederà all’immediato ritiro delle truppe. Uno più uno fa due, è elementare. È l’effetto Zapatero».
L’attenzione dei cronisti, a questo punto, si sposta inevitabilmente verso il Niger-gate e sul presunto ruolo italiano nella formazione di falsi dossier preparati allo scopo di rafforzare le ragioni della guerra in Irak. Il giudizio del premier sulla vicenda è secco, dettato senza mezze misure. «Cosa penso del Niger-gate? Penso che sia una bufala totale, e che non c’è alcuna prova documentale», dice Berlusconi. «Ne ho parlato con Bush, e lui mi ha detto che non ha avuto nessuna informazione da parte italiana. Le informazioni sono venute dagli inglesi. Non c’è stata nessuna documentazione passata agli americani».
I toni decisi utilizzati sul Niger-gate diventano tumultuosi quando i giornalisti invitano il premier a tornare sulle polemiche che hanno fatto seguito ai suoi recenti giudizi sulla guerra in Irak e al suo presunto cambiamento di rotta sull’opportunità del conflitto. «Rispondo con indignazione a chi ha detto che ho cambiato idea. In quell’intervista ho detto una cosa che ho dichiarato decine di volte, vi sfido ad andarlo a verificare. Sono preoccupato di come tutto ormai viene manipolato», attacca il premier. «Non resteremo in Irak un minuto di più del necessario, ma dobbiamo garantire l’ordine pubblico e la sicurezza. Non abbiamo mai pensato di mollare prima che fosse completata la nostra missione di pace, pena la guerra civile. Ma noi operiamo in una regione che è ormai sotto controllo e dove la vita scorre pacifica. I rientri avverranno mano a mano che le condizioni lo permetteranno».
Il premier conferma il timing del disimpegno italiano dall’Irak spiegando che non ci saranno ritiri di truppe «da qui a fine anno». Ciò perché ci sono le elezioni politiche previste per il prossimo 15 dicembre. Un appuntamento per il quale, ha sottolineato, «prevediamo una tensione molto forte» e una «ripresa di atti terroristici». Berlusconi rivela che con Bush è già stato concordato «un appuntamento» per il prossimo gennaio tra il ministro della Difesa americano Donald Runsfeld e quello italiano Antonio Martino. Un incontro che, ha precisato, servirà «per stabilire le tappe del futuro ritiro. In ogni caso, dopo le elezioni parlamentari, a partire da gennaio, con scaglioni di trecento soldati ogni due mesi».
Nessun accenno al caso Iran, e la conferma che sulla Siria «c'è la volontà di una pressione anche forte» nei confronti del regime di Damasco. Poi di nuovo un attacco all’opposizione in Italia: «Sono indignato da questa sinistra che non perde mai occasione di insultare e non sa dove sta di casa il rispetto. Altro che Berlusconi-Zelig. Questi leaderini della sinistra sono persone indegne.
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