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Siamo tutti figli di Valentina

A Milano una mostra illustra i mondi visitati, in quasi quarant’anni di avventure, dal celebre personaggio

Guardandolo bene, ci si accorge che le somiglia anche. La bocca è carnosa, gli occhi profondi (ma non chiari come quelli di lei), il naso ben disegnato (ci mancherebbe... ). «Madame Rosselli c’est moi», potrebbe dire.
La signora Rosselli, nata il 25 dicembre 1942, domiciliata a Milano, in via De Amicis, altezza 1,72, capelli neri, occhi chiari, segni particolari nessuno, ovviamente è lei, Valentina. La sua presenza erotica, le sue forme essenziali eppure morbide, il suo stile di vita disinibito nonostante la sostanziale (anche se non propriamente fattuale... ) fedeltà a un solo uomo, sono state, dalla sua prima apparizione, nel 1965, in La curva di Lesmo, fino alla scomparsa, cinque anni fa, del suo creatore, Guido Crepax, il grimaldello che ha aperto a molti fra noi, figli della porzione più breve del «secolo breve», le porte di nuove percezioni. In Valentina c’è il Novecento affabulatore e onnivoro che rilegge e ricicla la Storia. Proprio la rilettura, il riciclo, la serialità che si modella sulla vita reale o sui sogni, è infatti la cifra artistica di Crepax. «Valentina, la forma del tempo», opportunamente, è il titolo della bella mostra in corso fino all’1 febbraio alla Triennale Bovisa di Milano (via Lambruschini, 31).
Perché, in fondo, Valentina è una Penelope che ribalta i ruoli con l’ipotetico Ulisse. Lei sceglie il viaggio e l’avventura lasciando a lui (Guido oppure il «suo» Philippe Rembrandt) il compito di fare e disfare la tela, scandendo così il tempo. Lei è un po’ Anna Karenina e un po’ vampira; un po’ piratessa e un po’ regina; un po’ bambina e un po’ Justine. Ma sempre e comunque Madre di un divenire casuale, randomizzato, sempre e comunque il sicuro approdo della navigazione condotta sul filo della memoria.
Valentina è bella, bellissima come la Louise Brooks che incontriamo in una sala e che ci parla da un monitor. È un’intervista degli anni Settanta, nella quale l’incantevole ex diva del cinema muto racconta come un giorno trovò, su uno scaffale della sua libreria, una storia dell’eroina e come, da allora, il «dear Guido» divenne per lei un amico lontano e vicinissimo. «Louise è il mio mito», conferma Guido in un’altra sala, dove spiega il suo rapporto con il cinema. E come non riconoscere, in ossequio al Tempo che va e viene a proprio piacimento, nel volto di Valentina-Louise le fattezze di Luisa, la reale moglie di Guido, e di un’altra bellezza archetipica: Isabella Rossellini, nata, guarda un po’, dieci anni dopo la signora Rosselli?
Tutto si tiene, in questo percorso che spazia in lungo e in largo, passando dalla Rivoluzione d’Ottobre a Dracula, dai miti delle civiltà precolombiane a Giacomo Casanova, dalla pubblicità dei pneumatici a Baba Yaga. Valentina è la mamma che ci prende per mano, è l’educatrice che stravolge le regole vetuste della pedagogia conducendoci finalmente sul campo dell’azione, è la fata che, come Alice, attraversa lo specchio dell’incantamento aprendoci nuovi mondi. Ecco, la vediamo volare, nuda, a cavallo di una scopa, come una strega, sopra la Torre Velasca e, pochi metri più in là, sprofondare negli abissi abitati dai Cavalieri ciechi. La vediamo anticipare Guerre stellari (da notare le armature, ispirate al giappone medievale, che Crepax disegnò ben prima della saga di George Lucas) e i Pirati dei Caraibi. La vediamo tormentarsi per una maternità (in Il bambino di Valentina, 1969-70) che in qualche modo precorre l’episodio di Alien in cui il mostro ha colonizzato il grembo del tenente Ripley, la gelida Sigourney Weaver: Valentina teme che la sua creatura sia una piovra.
Guido, intanto, sorveglia da vicino, paterno, le sue evoluzioni. E scopriamo, nella libreria dell’artista, collocata nell’essenziale e suggestiva «sala-ufficio» della mostra, i titoli dai quali le avventure di Valentina hanno preso le mosse: l’Orlando furioso dell’Ariosto, Finzioni di Borges, il teatro di Beckett, Kafka, la Storia della rivoluzione russa di Trotsky...
Da altri monitor, da altre dimensioni, Oreste del Buono, ai tempi di Linus, critica l’ecumenicità di Crepax («se calasse meno le braghe... » dice, suscitando le giustificate ire delle ragazze in redazione), mentre Gerry Mulligan, jazzista fra i più apprezzati da Guido, mostra orgoglioso un divano con una sensualissima Valentina desnuda.
Ma dov’è la tanto chiacchierata morbosità? Dove può riparare lo «sporcaccione» che è in noi? Da nessuna parte: Valentina è pulita, limpida anche nelle situazioni orgiastiche e «spinte». E l’erotismo cerebrale di Alain Robbe-Grillet in Spostamenti progressivi del piacere (1971), vista da qui, suona come la volgarizzazione dinamica e colorata di qualche tavola in bianco e nero.
Il critico d’arte Maurizio Fagiolo dell’Arco coglie nel segno: «Guido Crepax è un ladro». I suoi sono furti reiterati, un moto ondoso governato dal ricordo. E che bella scoperta quelle figurine di carta realizzate da Crepax bambino.

Alle quali peraltro tornò, schierando soldati di celebri battaglie in campi che anticipano (di nuovo) i giochi di ruolo. «Mi piace disegnare come se avessi una macchina fotografica in mano, ma i miei disegni non sono fotografie traslate», disse. Piuttosto, gli esercizi di un bimbo da regalare alla mamma Valentina.

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