Siberia, strage di bimbi e turisti nello schianto dell’aereo-rottame

Drammatico incidente per un guasto ai freni all’aeroporto di Irkutsk. Perdono la vita 140 persone, una sessantina i passeggeri sopravvissuti

Luciano Gulli

Dell’aeroplano aveva tutte le caratteristiche: una fusoliera, il carrello, i finestrini, le ali, i piani di coda, una bella scritta sgargiante sulla fiancata col logo della società che lo mandava a spasso per i cieli.
In realtà era una bomba a tempo, una diligenza volante vecchia di quasi vent’anni e con più di 52 mila ore di volo sul groppone. Che all'Airbus A 310 della Sibir Airlines schiantatosi ieri all'aeroporto di Irkutsk, in Siberia, si siano rotti i freni in fase di atterraggio, andando a sbattere contro un muro e ammazzando 140 delle 204 persone a bordo, può stupire solo chi non conosca lo stato del settore e delle macchine volanti che vanno avanti e indietro per i cieli dell'ex Unione sovietica. Aerei tenuti insieme col fil di ferro, manutenzione scarsa e tecnicamente scadente, aeroporti inadeguati e spesso pericolosi.
No, non c'è davvero alcun mistero nella morte degli 8 bambini che erano a bordo dell'Airbus e degli altri 132 poveri cristi che andavano in vacanza sul lago Bajkal rimasti intrappolati fra le lamiere dopo l’urto, arsi vivi dalle fiamme che dopo l'impatto hanno avvolto la carcassa del velivolo. Solo la coda, dopo che l’aereo era scarrocciato fuori pista, andando a sbattere contro alcuni edifici, era rimasta intatta. Ed è dalla coda, dopo aver aperto il portello di sicurezza, azionando lo scivolo d’emergenza, che molti sono riusciti a salvarsi la vita
L'unica incertezza, semmai, riguarda il numero esatto delle persone che si erano imbarcate sulla bomba volante. Stando a Svetlana Potekina, una portavoce della Protezione civile, sull'aereo erano registrati 193 passeggeri. Tre erano fuori lista (poliziotti, agenti dei servizi, dipendenti della compagnia?) e 8 i componenti dell'equipaggio. Totale: 204. Ma il casino è tale, negli aeroporti russi, che anche le liste d’imbarco vanno pensate come «probabili». Dodici, fra i passeggeri, sarebbero ad ogni buon conto gli stranieri: 3 tedeschi, 3 cinesi, 2 polacchi, 2 azeri, 2 bielorussi. Italiani, nessuno.
Ora, naturalmente, tutti puntano il dito contro l’esecrata parola: privatizzazione. Resta il fatto che dopo la caduta dell'impero sovietico si è assistito a un proliferare convulso di compagnie (nella sola Russia se ne contavano 750, nel 2004) che per sopravvivere su un mercato dove la concorrenza si è fatta feroce sono costrette a una politica della lesina che si abbatte su tutti i settori, quello della manutenzione (e dunque della sicurezza) compreso.
Sibir, la costola siberiana staccatasi negli anni scorsi dalla compagnia di bandiera Aeroflot, e oggi al secondo posto per volume di traffico, aveva già 2 disastri all’attivo: 2 Tupolev 154 precipitati nell'ottobre del 2001 e nell'agosto del 2004.
Se non che, allora, nessuno potè incolpare la compagnia di incuria. Nel primo caso si era trattato di un missile sparato per errore dalla marina ucraina; nel secondo di un attentato suicida commesso da una terrorista cecena.
Nonostante i suoi vent'anni di servizio attivo e gli oltre 10 mila viaggi alle spalle, l'Airbus fracassatosi ieri a Irkutsk, sostengono i tecnici della Sibir, era in ordine. Aveva cioè superato gli «esami» previsti dal vigente regolamento. Il che forse vuol dire solo che è il regolamento che è da rifare.
«Le compagnie russe non acquistano mai aerei di prima mano - accusa l'ingegnere Viktor Ritvin, esperto del settore -. E la nostra flotta aerea è la più vecchia fra quelle dei Paesi sviluppati. Solo lo 0,3% del parco velivoli viene rinnovato annualmente, una media 20 volte inferiore a quella degli altri Paesi industrializzati».
A questi handicap, per così dire strutturali, si aggiungono i problemi derivanti da certi scali «autoproclamatisi» internazionali, ma che non sono in grado di far atterrare e decollare aeroplani di stazza superiore a quelli usati normalmente nei voli interni. Quello di Irkutsk, che pure serve un'area turistica molto frequentata è ai primi posti nella lista degli aeroporti temuti dai piloti. Pista troppo corta, troppe case all’intorno.

Quello di Soci, sul Mar Nero, dove il 3 maggio si è sfracellato un altro aereo, non è meglio: troppo vicino al mare, spesso avvolto nella nebbia, le piste pensate da ingegneri scervellati che non hanno tenuto conto dei venti dominanti. Ma è una lista lunga. Meglio il treno. Forse.

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