Anche a distanza di anni dalla morte la cattiva fama non l'ha abbandonato. La sua figura riesce ancora a innescare polemiche e a suscitare reazioni controverse. Nell'aprile 2014 il nome di Sid Vicious viene inserito dal Consiglio di distretto di Tunbridge Wells, città del Kent dove il bassista dei Sex Pistols ha vissuto tra il 1965 e il '71, in una lista di 32 celebrità cui dedicare una targa commemorativa. Apriti cielo! Diversi cittadini e associazioni protestano: Sid il Malvagio non può essere messo sullo stesso piano di eroi di guerra e personalità di rilievo storico e civile. Peter Campbell, 49enne del luogo, va giù duro: «Nessuno vuole ricordare che Sid Vicious ha vissuto qui; era un uomo vile che è morto così come ha vissuto: circondato da sporcizia e miseria». Un altro cittadino, Claire Fenwick, gli fa eco: «Non c'è nulla di bello da raccontare su Vicious, e sarebbe meglio dimenticare per sempre il suo nome».
Gli anni passano, dunque, e l'icona punk dai capelli a punta continua a dividere. Difficile trovare una sintesi tra chi lo ritiene un violento, un utile idiota trasformato dall'industria musicale (e da un manager cinico) nella vittima sacrificale di turno e chi lo considera alla stregua di un eroe che, senza cedere a compromessi, ha fatto tutto «a modo suo» ritagliandosi uno spazio nella storia della musica e del costume contemporanei. Altrettanto complicato stilare percentuali e responsabilità sue e delle persone che gli furono accanto, a partire dalla madre Anne e dal manager Malcolm McLaren. Crescere senza una figura paterna e con una madre priva di autorevolezza non deve essere stato facile. Come spostarsi di continuo e crescere tra volti e luoghi sempre diversi. Gli appartamenti, i quartieri e le città di Sid cambiarono continuamente al pari dei nomi. Fu Simon, John, Hymie, Spiky John e infine Sid Vicious. Tanto furono deboli la sua identità e le sue radici che finì per immedesimarsi nel nome d'arte datogli dall'amico Johnny Rotten, incapace di distinguere tra finzione e realtà.
Di sicuro lo schianto finale di Sid, l'overdose fatale, fu consapevole. «Probabilmente morirò entro i 25 anni, ma avrò vissuto nel modo in cui volevo», disse e ribadì più volte. Quasi fosse una missione da compiere a tutti i costi. Nick Kent, il celebre giornalista musicale che Vicious aggredì con una catena di bicicletta, ha recentemente osservato come «la sua morte prematura fu un atto di gloria perversa. Una cosa molto stupida perché Sid non aveva nessun tipo di talento se non quello dell'autodistruzione. Ecco perché rappresenta un simbolo per i giovani». C'è del vero in quanto sostenuto dalla storica penna del giornalismo inglese: l'autodistruzione è il motivo per cui Sid è conosciuto dai più. Ed è altrettanto vero che con lui si è inaugurata la stagione dell'autolesionismo sotto i riflettori. Prima di lui, nessun artista aveva perseguito e reso pubblico il proprio percorso di autodistruzione. Iggy Pop, Jim Morrison e Syd Barrett sono stati quelli che maggiormente fecero partecipi il pubblico del loro declino mentale e fisico, tuttavia senza la perseveranza e la predeterminazione che caratterizzarono il dramma di Vicious. D'altra parte, il suo fascino è legato alla capacità di trasgredire le regole infischiandosene dell'istinto di autoconservazione e del socialmente accettabile oltre al bell' aspetto (anche se in modo diverso rispetto ai canoni più tradizionali) che la morte prematura ha conservato per sempre.
Sid Vicious è oggi un'icona universalmente riconosciuta, che, se da una parte è la fotografia decadente dell'ex Impero britannico, dall'altra rappresenta il volto di un movimento artistico vivace e brillante, tutt'oggi capace di suscitare interesse e di ispirare l'arte e i costumi del mondo occidentale. La catena al collo, i capelli a istrice, l'immancabile chiodo e il caratteristico ghigno sono ancora oggi copiati, imitati e rappresentati ovunque. Tra i settori che lo hanno citato e richiamato più spesso c'è, non a caso, l'alta moda. C'è poi il lascito artistico. La capacità con lo strumento e la partecipazione al processo creativo e musicale nei Sex Pistols furono limitate. Le sue interpretazioni di Something Else, C'mon Everibody e My Way sono invece fenomenali. Pare che lo stesso Sinatra ritenesse quest'ultima la versione migliore della sua celebre hit. Quelle dei due classici di Eddie Cochran, poi, dimostrano una straordinaria credibilità di Vicious nell'interpretare il rock'n'roll. Non è un caso che proprio la convincente cover di Something Else sia stata la canzone più venduta nella breve storia dei Pistols. Chissà. Senza la prematura morte, Sid forse sarebbe riuscito a sopravvivere artisticamente agli anni Ottanta e diventare un rocker di successo come Billy Idol. Di certo ne aveva le potenzialità.
Infine, l'aspetto umano. Sid Vicious morì a New York il 2 febbraio 1979, in un piccolo appartamento del Greenwich Village. Il giorno stesso era uscito dal carcere su cauzione, dove era rinchiuso con l'accusa dell'omicidio della fidanzata Nancy Spungen. Un'overdose d'eroina segnava la fine di una vita umana rivelatasi troppo fragile e l'inizio di un mito. Dietro il personaggio pubblico, però, c'era un mosaico molto più difficile da comprendere e interpretare di quanto si possa pensare. La storia dell'inetto che aveva trasformato una finzione rock in una vita patetica e drammatica, come raccontarono quotidiani dell'epoca, era solo un lato della storia. In quel sacco destinato all'obitorio, c'era non tanto il cadavere della tormentata star del punk quanto quello di un ragazzo inglese di 21 anni dalle molte identità e tante contraddizioni. Il nome all'anagrafe era John Simon Ritchie.
A pensarci bene, però, quello spilungone che un tempo rideva di tutto e di tutti era morto già da tempo, ucciso proprio dal suo alter ego Sid Vicious.
* Marco D'Eugenio è autore di una nuova biografia di Sid Vicious, in uscita a primavera
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