Significativo il successo del Papa a Parigi

La ringrazio per la «fulminante» risposta pubblicata sul «Giornale» del 9 settembre riguardo l’otto per mille alla Chiesa. Sono un sacerdote che ha festeggiato pochi giorni fa il cinquantesimo di parrocchia: non sono più giovane e sono sicuro che mi dirà bravo perché faccio ancora l’oratorio con l’aiuto di bravi laici. Non sono mai andato in tv e se mi avessero invitato avrei parlato di Gesù. Per tutti sono «il Don». Il mio vestito è firmato da me. Ho una macchina che dura da 11 anni: è benedetta e va bene. Mi fa piacere che parecchi confratelli ritornino a capire che certi modi di pensare e agire non soddisfano più. Ci pensa il tempo. L’otto per mille mi dà una certa sicurezza e con l’aiuto della Provvidenza vivo in serenità. Ancora grazie. Il Signore la benedica.



Sappia, caro don Colla, che potrà contare sempre sul mio otto per mille come su quello, credo di poterlo affermare con sicurezza, di tanti lettori del Giornale. E pazienza se parte della donazione finisce poi nelle tasche dei don Sciortino. L’importante è che ne arrivi in quelle dei don Colla. Sono d’accordo con lei: ci penserà il tempo a rimettere le cose a posto. E le cose non sono poi così messe male. Guardi cos’è successo in Francia: la maggioranza dei commentatori - nostrani e stranieri - avevano pronosticato il fallimento della visita del Santo padre: non ci sarà nessuno ad accoglierlo, nessuno alla celebrazione della sua messa all’aperto, nessuno a festeggiarlo lungo le strade. E questo perché la Francia è il Paese delle «chiese vuote», a dimostrazione che il sentimento religioso dei francesi si è spento o, nella migliore delle ipotesi, s’è fatto svogliato. Vero niente. Le centinaia di migliaia di persone accorse a rendere omaggio e a far tesoro delle parole di Benedetto XVI nell’Esplanade des Invalides, per non parlare di quelle che lo hanno festeggiato lungo il percorso, smentiscono non il dato - le chiese vuote - ma l’assunto. Certo, in Francia le chiese si svuotano, ma la ragione non va cercata nell’affievolimento della fede, quanto nello spirito di un clero il quale, ancor più che da noi, le converte da Casa di Dio a Maison du Peuple. In palestra per esercizi sociologici e politici, in «spazi» ove ascoltare comizi e musiche etniche, dove rivendicare i diritti e contestare i doveri. Chissà, caro don Colla, se dopo essersi illuso (o aver proprio sperato?) di vedere il deserto attorno al pontefice, il clero detto progressista di Francia (ma anche d’Italia) prenderà atto che per i fedeli la Chiesa è quella dell’Espanade des Invalides, non la loro. Chissà se finalmente avrà l’umiltà di riflettere sulle parole che Papa Wojtyla rivolse ai «profeti dell’orientamento progressista della Chiesa», rimproverandoli di essere «sempre impazienti di adattare perfino il contenuto della fede, l’etica cristiana, la liturgia, l’organizzazione ecclesiale, ai cambiamenti di mentalità, alle esigenze del mondo senza tener abbastanza conto non soltanto del senso comune dei fedeli, che sono disorientati, ma dell’essenziale della fede, già definita, delle radici della Chiesa, della sua esperienza secolare, delle norme necessarie alla sua fedeltà, alla sua unità, alla sua universalità». È gente con la testa dura, quella, quindi di tempo ce ne vorrà un po’ e di intervento della Provvidenza molto.

Però, dopo aver visto le immagini di Parigi in festa per il Papa, sappiamo che la loro battaglia l’hanno persa e che se decideranno di prolungarla ulteriormente dovranno accontentarsi di combatterne una, senza onore, di retroguardia (sempre che ci siano mai stati, all’avanguardia).
Paolo Granzotto

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