La signora dei rom accusa Parigi ma il suo Paese li lascia fuori

Non c’è pace tra Francia e Lussemburgo. Il caso di Viviane Reding, la commissaria europea del Granducato che ha provocato la collera del presidente francese Nicolas Sarkozy per aver preso di punta le severe norme sui campi nomadi, non sembra affievolire la sua portata, al contrario. È vero che nei giorni scorsi i vertici del partito di Sarkozy hanno espresso al premier lussemburghese Jean-Claude Juncker le scuse per i toni molto duri usati da un senatore dell’Ump («sarebbe meglio se il Lussemburgo non esistesse», aveva detto Philippe Marini). Ma la tensione rimane palpabile nei confronti della signora Reding, che Sarkozy aveva polemicamente invitato a prendersi un po’ di rom nel suo Paese, visto che aveva da ridire sul trattamento loro riservato in Francia. Con qualche ragione, come vedremo: nel Granducato, infatti, il problema dei cittadini comunitari romeni e bulgari indesiderati viene risolto alla radice, tenendoli fuori dalla porta.
Tutto si può dire, del resto, fuorché la commissaria lussemburghese si stia impegnando per abbassare la tensione con Parigi. Viviane Reding risulta infatti intenzionata a lanciare contro la Francia la minacciata procedura d’infrazione il prossimo 30 settembre, nonostante i nuovi elementi forniti dal governo francese proprio su richiesta della commissaria. Una mossa che non mancherà di irritare ulteriormente l’Eliseo, ma un portavoce di Bruxelles si trincera in burocratese stretto dietro un muro di formalismi, spiegando che «i tempi dell’analisi giuridica non sono i tempi mediatici e neppure quelli politici». Insomma, se la Francia si arrabbia peggio per lei.
Non stupisce in questo contesto che la missione di Viviane Reding a Parigi, dove intendeva incontrare il ministro della Giustizia Michelle Alliot-Marie, avvenga in un clima freddo se non ostile. Una fonte francese intervistata da Le Monde precisa che la commissaria lussemburghese «non è benvenuta» a Parigi. Non solo non ha potuto incontrare il ministro, ma ancora ieri mattina la colazione di lavoro organizzata in alternativa con il segretario di Stato al Commercio Henri Novelli non era stata confermata. Il quotidiano francese aggiunge che la Reding è stata anche invitata a evitare conferenze stampa durante la sua permanenza a Parigi.
Ma si diceva della chiusura del Lussemburgo rispetto non solo ai rom, ma più in generale ai romeni e ai bulgari. Già era stato reso noto (lo fece un eurodeputato della Lega Nord e non risulta che sia stato smentito) che la polizia del Granducato accompagna sistematicamente alla frontiera gli stranieri che mendicano in Lussemburgo: ed è questa un’“attività” tradizionale per i gitani. Approfondendo però le norme sulla libera circolazione dei cittadini comunitari in vigore nel Granducato emergono aspetti che sembrano dare ragione ai francesi quando sostengono che certe critiche arrivano dall’indirizzo sbagliato.
I bulgari e i romeni che volessero cercarsi un lavoro in Lussemburgo, infatti, si trovano la strada sbarrata da un regime transitorio che ha avuto inizio il 1° gennaio 2007, con l’adesione di Sofia e Bucarest all’Unione Europea. Lo stesso regime, peraltro, era già stato applicato a partire dal 1° maggio 2004 ai cittadini degli altri otto nuovi Stati membri, quelli ex comunisti dell’Est europeo. La norma adottata in Lussemburgo prevede, è vero, delle eccezioni, e precisamente nei settori agricolo, della viticoltura e del turismo, a patto che gli interessati si trovino un lavoro prima di arrivare nel Granducato. Ma queste non fanno che confermare il senso di una scelta che è difficile non definire discriminatoria.

Con che coraggio insomma, pensano in Francia, il Lussemburgo ci fa la morale (sia pure via Ue) sulle «espulsioni discriminatorie dei rom» quando è in prima fila nell’adozione di norme che proprio i rom tengono fuori dalle proprie frontiere?

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