Le signore in bianco non si fermano, e il regime cubano comincia a preoccuparsi. Per il quarto giorno di fila anche ieri mattina una ventina di mogli e madri di dissidenti in carcere hanno manifestato per le strade dell’Avana per ricordare ai cubani e al mondo il settimo anniversario dell’arresto di 75 loro familiari, 53 dei quali sono tuttora detenuti. Le donne, alcune di loro con la fotografia del loro congiunto imprigionato stampata sulla maglietta bianca, gridavano «libertà per i prigionieri politici» e agitavano mazzi di fiori. Circa trecento “sostenitori spontanei” del governo le hanno seguite lungo il loro percorso insultandole e minacciandole, ma non c’è stato contatto fisico tra i due gruppi, grazie anche alla presenza di diplomatici americani ed europei, mentre una trentina di poliziotti sorvegliavano senza intervenire.
Il giorno prima, un’analoga dimostrazione aveva avuto ben altro epilogo. Come quella di ieri, era stata pesantemente disturbata da un centinaio di attivisti comunisti che si presentavano come comuni cittadini “indignati”, agitandosi minacciosamente e gridando slogan come «la strada è di Fidel» e «la strada appartiene alla rivoluzione». Ma alla fine, conclusa la Messa celebrata in ricordo del dissidente Orlando Zapata morto il 23 febbraio in seguito a uno sciopero della fame durato quasi tre mesi, le trenta donne vestite di bianco erano state caricate a forza su un autobus e portate via.
Le manifestanti, guidate da Laura Pollan che è una delle fondatrici del gruppo, non erano state però arrestate e ieri sono tornate nelle vie dell’Avana: la Pollan ostentava un dito ingessato, conseguenza delle colluttazioni con la polizia. Il loro programma prevede iniziative di sensibilizzazione che dovrebbero culminare, regime permettendo, in un evento finale previsto per domenica.
Un attivismo che comincia a preoccupare il regime, già disturbato dall’eco che hanno avuto nel mondo la tragica fine di Orlando Zapata e la coraggiosa sfida dell’altro dissidente Guillermo Farinas, a sua volta in sciopero della fame da ormai tre settimane e per questo ricoverato in ospedale: personaggi celebri della cultura come il regista spagnolo Pedro Almodóvar e lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa hanno firmato un appello in favore della dissidenza cubana, capovolgendo una tendenza filocastrista dell’intellighenzia internazionale che dura da decenni.
Raul e Fidel Castro avevano concesso un’assai relativa libertà di manifestazione alle Damas de Blanco, permettendo loro di scendere in strada purché non “eccedessero” con le “provocazioni” ed evitassero di avvicinarsi ai punti più sensibili della capitale cubana. A tenerle sotto controllo pensavano che bastasse la minacciosa “reazione popolare” (in realtà si tratta di agenti in borghese e attivisti di partito) e qualche manganellata della polizia. Ma ora, resisi conto che così non è, i capi del regime hanno deciso di giocare la carta della denigrazione.
Il notiziario della televisione cubana, che è ovviamente diretta emanazione del governo castrista, ha trasmesso alcune immagini di una marcia delle signore in bianco accompagnandole con commenti sprezzanti e soffermandosi sulle parallele manifestazioni dei sostenitori del regime. «Alla campagna mediatica internazionale contro Cuba», ha detto il conduttore, «si aggiungono le mercenarie autoproclamatesi Damas de Blanco», colpevoli di «aggressioni e ingiurie contro Cuba e il suo governo».
Più che una constatazione, sembrava un invito alla violenza (rivoluzionaria, naturalmente). Ma anche un segno di debolezza.
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