Ho sempre diffidato degli uomini che portano un anello ornamentale al dito. Che volete farci, sono vittima di un pregiudizio fisiognomico, non per nulla vengo dalla città di Cesare Lombroso. Non ho mai affrontato Il Signore degli Anelli per colpa del titolo: dal luogo in cui si trova, sono certo che Tolkien mi perdonerà. E non ho mai capito il padre del figliol prodigo, non solo per il suo modo arbitrario dintendere la giustizia domestica, ma anche per le premure riservate al mascalzone pentito: «Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli lanello al dito». E su, dai!
Riconosco due sole eccezioni, altamente simboliche: la fede matrimoniale, anche per via della sua sobria linearità (mio padre, poveretto, ne aveva una autarchica da tempo di guerra, in similargento diceva lui, ma secondo me era ferro), e lanello piscatorio che il Papa adopera come sigillo da apporre sulla ceralacca, così detto perché reca limmagine di San Pietro pescatore di anime. Quantunque non fu un bello spettacolo, almeno per me, vedere Benedetto XVI che sinfilava da solo quel pataccone al dito durante la cerimonia dinizio del pontificato. Per restare ai simbolismi, aggiungerei la vera di vile metallo che Francesco De Lorenzo, abbandonato dalla moglie, portava al posto di quella nuziale quando uscì di galera: «Suggella la fedeltà a don Pierino Gelmini. Lha donata a non più di dieci persone al mondo». Me la mostrò con lo stesso orgoglio che rivendicava al suo passato di ministro.
Ma tutti gli altri anelli a che serviranno? Coloro che li ostentano quale messaggio vorranno inviare al resto dellumanità? Ci terranno a farci sapere che non sudano alla catena di montaggio, dove sono vietate anche le fedi per ragioni di sicurezza? O che sono di nobili origini? Mi ricordano tanto i parvenu che tengono slacciato lultimo bottone sulla manica della giacca per dichiararne la fattura artigianale: «Meschinetti. Il sarto gli ha sbagliato le misure? Se la facciano allargare», come mi disse il conte Giovanni Nuvoletti, arbiter elegantiarum.
Le mie fissazioni estetiche trovano rinforzo nellaffettazione con cui Carlo dInghilterra esibisce un vistoso anello doro al mignolo sinistro. Osservate bene lerede al trono nei servizi del telegiornale: è sempre indaffaratissimo ad aggiustarsi con la mano destra il polsino sinistro della camicia. Mi sbaglierò, ma credo che sia un puerile espediente per evidenziare lanello principesco. Lunica insegna del potere che gli è concessa, del resto. O forse sua altezza non sa dove tenere le mani: in tasca no, a penzoloni nemmeno, gli resta solo quella mossetta. Deve starci attento: finirà per ritrovarsi col mignolo che si solleva a scatto come capitava a Tognazzi e Serrault nel Vizietto quando afferravano il manico della tazzina per sorbire il caffè.
Non vorrei rimettere una croce sulle spalle del senatore Antonio Gava, sceso vivo dal calvario dopo averne sopportate di ben più pesanti. Ma insomma, lo accusarono persino di detenere o ciciniello. Un anello con diamante. Come i camorristi. Mani pulite in senso lato: dieci anni fa i preconcetti legati allaspetto duna persona potevano trasformarsi in capi dimputazione. Si scrisse con perfidia che, per rifarsi il look dopo la nomina a ministro dellInterno, teneva o ciciniello col brillante girato dentro il palmo della mano. Intervistai Gava mentre era ancora sotto processo e tutti lo evitavano come il più immondo dei criminali. Poiché questa tesi del ciciniello mi aveva sinistramente suggestionato, lo ammetto, gli chiesi conto dellorpello. Scoprii così che era lanello di fidanzamento regalatogli 43 anni prima dalla moglie Giuliana, nativa peraltro di Vittorio Veneto, non di Castellammare di Stabia. Il senatore ignorava che dalle sue parti lo chiamassero ciciniello, termine che infatti nel Napoletano lho saputo dopo designa di norma tuttaltro gingillo. Gava negò che alla rotazione dellanello in prossimità del Viminale corrispondesse una segnaletica: «Ha sempre girato come gli pare, una volta sta sopra, unaltra sotto. Non avevo motivo di nasconderlo, anzi».
Le mie fisime si sono trasformate in ossessione da quando ho cominciato a esaminare le mani degli ayatollah iraniani. Avevo notato da tempo che quasi tutti i musulmani del mondo portano un anello dargento con incastonato un lapislazzulo. Ma le foto dagenzia giunte da Teheran sono inquietanti. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad, quello che vuol farsi latomica e cancellare Israele dalla carta geografica, di anelli ne ha addirittura due, uno allanulare destro e uno allanulare sinistro. Idem il suo predecessore Mohammed Khatami, che pure passava per un moderato. Idem Hashemi Shahroudi, capo del potere giudiziario. Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica, ne sfoggia addirittura tre.
Ho interpellato un alim, un sapiente, uno che conta. Mi ha spiegato che i musulmani sono affezionati agli anelli in ossequio a una sunna, cioè una consuetudine del Profeta, il quale pare ne tenesse uno col suo sigillo allanulare destro. Però devono essere esclusivamente dargento, non importa se ornati di pietra nera o verde. «Loro e la seta ci sono vietati, tranne che alle donne», ha precisato la mia fonte. «Lunico oggetto doro che noi maschi possiamo indossare è lorologio, in quanto considerato uno strumento per la misurazione del tempo e non un monile».
Ve lho detto che bisogna diffidare degli anellati.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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