Silenzio per Berlusconi: ma dov’è finita la solidarietà di Genova?

(...) antisommossa per raccogliere firme a tutela del croficisso o chi impediva che manifestazioni democratiche di poliziotti stanchi di passare per assassini potessero avere pari dignità di un corteo no global. No, tutt’al più qui a Genova le istituzioni concedono locali pubblici ad associazioni che inneggiano a Carlo Giuliani, oppure vanno in piazza a dar manforte a chi aggredisce il banchetto autorizzato di un partito assolutamente democratico. E fa scandalo non questa violenza squadrista ma l’imprecazione di un militante che dopo aver perso il lavoro si sente anche dire «Vai a lavorare» da sfaccendati e perditempo. Qui magari parlamentari e consiglieri regionali si trovano alla testa di manifestazioni in cui volano lucchetti e bulloni contro un convegno dell’allora Alleanza Nazionale in quel di Sampierdarena.
I solidarizzatori di professione, quelli che emettono comunicati per essere accanto agli arcivescovi di Milano o che quelli che hanno tempo di aderire ai protocolli sul clima, vanno a intermittenza come le lucine dell’albero di Natale e si spengono quando c’è da condannare la violenza contro il nemico politico. Per fare i nomi, Alessandro Repetto ha probabilmente usato tutto l’inchiostro delle stampanti della Provincia e gli ultimi secondi del contratto di collegamento a internet per difendere Tettamanzi dalle pur gravi critiche ricevute dalla Lega, perché di solidarizzare con Berlusconi se n’è guardato bene. Forse perché dovrebbe anche condannare gente come Rosy Bindi o Antonio Di Pietro. O forse perché proprio la pensa come loro. E Marta Vincenzi invece era già in vacanza a Kyoto o a Copenhagen con in mano la «carta dei Comuni sul clima» appena firmata per occuparsi di «Berlusconi colpito al volto».
La denuncia fatta da alcuni semplici cittadini di Sestri Ponente che si sono visti recapitare a casa, al loro indirizzo teoricamente tutelato da privacy al pari delle loro simpatie politiche, una lettera di insulti a Berlusconi e a chi lo sostiene, sono passate sotto silenzio. Certo, è più facile dare lezioni su come si riconosce una lettera di minacce autentica da una falsa, o sull’opportunità di cestinare quelle che non sembrano troppo preoccupanti anziché consegnarle alla polizia e collaborare alle indagini. Pazienza se i muri della città restano piene di scritte intrise di odio e violenza. Pazienza se all’Università, in un’aula concessa dal rettorato, si organizzano concerti che incitano alla rivolta e all’omicidio di forze dell’ordine, servitori dello Stato e nemici politici. Pazienza se le sedi dei partiti (ovviamente di quelli non politicamente corretti) vengono danneggiate.
Genova è stata teatro dell’omicidio di Ugo Venturini e dei ganci «democratici» dei camalli che spaccavano le teste degli sbirri per impedire il congresso Msi del 1960, ha fatto da «culla» delle Brigate Rosse, è arrivata alla violenza del G8 nel 2001. A Genova al massimo i compagni «sbagliano», ma è sempre buona norma non farlo notare se non proprio strettamente necessario. Genova, per fortuna, è anche quella del popolo che si ribella alla violenza e a questa escalation che ha preceduto l’aggressione a Berlusconi e che torna a farsi preoccupante. Genova è anche quella delle mille voci indignate che arrivano in redazione e che saremo costretti a pubblicare per molte puntate vista la quantità.

Genova è anche quella di Mino Ronzitti, presidente «comunista» del consiglio regionale, che ieri ha trovato la rabbia, la forza, l’onestà e il tempo di dichiarare il suo rifiuto per la violenza e la sua solidarietà a Berlusconi. Genova è quella dove i Ronzitti non abbondano.

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