«Silverstone, prima vittoria Ferrari. Io c’ero»

M i ero messo in testa di andare a Silverstone dopo la vittoria di Villoresi del 1948, agli inizi della mia dedizione motoristica, ancora da studente. Ero affascinato dai racconti del mio grande maestro, Giovanni Canestrini, e di quell'eterno "play-boy" dell'epoca, qual era il conte Giovanni Lurani. Ma, allora, volare in Inghilterra era come recarsi in America. E i ricordi delle prime "spedizioni" finiscono nel mito di certe favole, tra passaggi rocamboleschi e telefoni mancanti. C'era un apparecchietto chiamato qualcosa come "Trunk Sub", con una manovellina che, dopo molti giri, metteva in comunicazione con una centralinista arrogante, la quale impiegava ore ed ore per chiamare l'Italia. Intorno al circuito c'era ancora qualcuno di quei vecchi bidoni di benzina in uso quando il terreno era un aeroporto militare dell'ultima guerra. C'era la direzione di gara in legno, con la bella terrazzina, da cui assistere alla gara. Il ricordo prepotente è per le quattro "Alfette" di Farina, Fagioli, Fangio e Parnell in prima fila nel 1950. Una partenza assordante. Fangio scattato al comando, meglio di Farina, poi vincitore, davanti all'elegante e anziano Fagioli e all'inglese Parnell. Era il campionato mondiale che iniziava. Ancora senza la Ferrari, che ha fatto il suo ingresso nel successivo Gp di Montecarlo. Schiacciante superiorità italiana. La mia memoria è tutta per quelle "Alfette" e per il secondo, ancor più clamoroso atto, quello del 1951, con la memorabile sfida della Ferrari: motore V-12 tre litri aspirato contro il 1.500 surcompresso. Primo successo di Maranello, sia nella storia del campionato mondiale, sia nel coraggioso passaggio alla nuova tecnica motoristica. Tutto nelle mani di Froilan Gonzales, detto "El Cabezon".
Ricordo l'entusiasmo già in sede di prove, con una "pole" incredibile: dieci secondi inflitti all'"Alfetta" e una riuscita migliore di Ascari e Villoresi. Formidabile la grande cavalcata dell'argentino, con un arrivo solitario, nettamente davanti al connazionale Fangio.
Da quel momento di sessant'anni fa la stella della Ferrari ha cominciato a brillare di vivida luce, passando ai successivi trionfi del Nürburgring e di Monza, con Alberto Ascari. Addirittura a un soffio dal titolo mondiale, se non fosse stato per un problema di pneumatici - già allora queste benedette gomme dettavano legge, pur se su diversi fronti - nell'atto conclusivo del Gp di Spagna. E, comunque, in forma tale da costringere l'Alfa Romeo all'abbandono.
Il lato bello di Silverstone è che la pista ha potuto conservare i suoi caratteri originali per molti anni, fino alla prima "chicane" del 1987. Ora che tutto è stravolto, pesa il rimpianto per quella tradizione. Tuttavia, il progresso ha le sue leggi: l'evoluzione della Formula 1 è tale da rendere impossibili i tracciati veloci come quello. Se vogliamo, le ultime trasformazioni sono state migliori delle varianti di Monza. Ora, la velocità di Silverstone è un capitolo chiuso. Al pari dei ricordi più incisivi, come quando mi diedero un giubbetto con il numero uno, «così tutti i colleghi avranno invidia…», mi dissero. O come quando il caro, indimenticato Enzo Ferrari mi mandò un biglietto aereo, a metà Anni Sessanta, per andare ad assistere alla gara di primavera, non di campionato, da tutti disertata. Voleva un resoconto tecnico sulla sua nuova macchina.

E dovetti entrare in tutti i dettagli di una breve, epica battaglia tra Surtees e Brabham, 12 contro 8 cilindri, stranamente persa dal motore più potente. Pesante da raccontare. Ma leggera, sulle ali di un simile incarico.

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