Silvio, 17 anni in campo. Alla faccia dei gufi

Il 28 marzo del 1994 Berlusconi conquistava per la prima volta Palazzo Chigi ribaltando le previsioni di tanti tra intellettuali e politici. Oggi come allora il premier è circondato da menagramo che ne annunciano la fine imminente. Ma che vengono smentiti a ogni elezione

Silvio, 17 anni in campo. Alla faccia dei gufi

RomaI sintomi erano chiarissimi, bastava un po’ di fiuto per capire che solo qualche mese dopo la vittoria, Berlusconi aveva già «perso lo stato di grazia». Non aveva proprio dubbi Beniamino Andreatta, padre nobile dell’Ulivo, solo nell’ottobre del ’94, sul fatto che il tycoon milanese avesse i giorni contati. Non serviva neppure una mente brillante come la sua per prevedere che «in pochi mesi di lui non sarebbe rimasto nulla sul piano politico». Provava addirittura (confessò all’Espresso) un «sentimento di pena per un uomo che ha voluto buttarsi in politica senza capire cosa vuol dire, e che ora si chiede cosa fa seduto su quella poltrona». Parliamo di diciassette anni fa (si votò proprio il 27-28 marzo), con Berlusconi sempre seduto sulla stessa poltrona. Una profezia. Una delle tante che sono rovinosamente cadute nell’oblio, come gli oroscopi di capodanno. Uno dei più scettici sulle possibilità di successo, e sull’inevitabile fine prematura delle velleità politiche del Cavaliere, fu Indro Montanelli. Alla fine del’93, a poche settimane dall’inizio della campagna elettorale e a rottura già consumata, il fondatore del Giornale disse apertamente cosa pensava di quell’avventura: «Pensa di essere un incrocio tra Churchill e De Gaulle, e ci crede veramente... Ma quando Berlusconi andrà in Parlamento tutti quanti si alzeranno e gli grideranno: Biscione, Biscione...». Insomma, un capriccio insostenibile alla lunga.
I più convinti del fuoco di paglia erano nell’area delle macerie post-democristiane. Anche per questo Gianfranco Rotondi, un ex Dc, conserva molti ricordi di cattivi profeti tra i suoi ex compagni di partito in quel ’94. «Uno era Ciriaco De Mita - rievoca il ministro -. Disse che Berlusconi avrebbe avuto lo stesso destino dell’Uomo qualunque: una breve stagione prima di sparire nel nulla». In effetti non ci prese, mentre altri democristiani come Martinazzoli e Forlani («in politica gli scenari cambiano, e questo è destinato a durare molto») avevano intuito cos’era successo. Rocco Buttiglione invece parlò del rischio di una «deriva plebiscitaria» mentre salutava la fine del primo e forse ultimo governo Berlusconi.
Doveva essere la liberazione dal signore di Arcore, almeno nelle previsioni dei fini osservatori, più a loro agio con le teorie che con la realtà. Sempre nel dicembre del ’94, a ribaltone avvenuto, i giornali raccontavano un uomo finito, ormai da rottamare, uno che «in sette mesi è invecchiato sette anni e ingrassato sette chili». Finito, o quasi. Si vede che i menagramo portano fortuna, e il migliore di questi è senz’altro Massimo D’Alema, che ha dato per spacciato il Cavaliere una dozzina di volte, iniziando prestissimo. Già prima che l’altro vincesse le elezioni politiche di 17 anni fa, D’Alema aveva pronosticato per lui un futuro nerissimo, un Berlusconi costretto «a chiedere l’elemosina in via del Corso». Un altro esperto nel ramo è il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che sempre nel ’94, qualche mese dopo il trionfo elettorale berlusconiano, era già sul chi va là: «Berlusconi è il nuovo re - scriveva il Fondatore - nuovo re per quanto? Anche Berlusconi comincia a scontentare e la sua stella non è più così fulgida». La prova schiacciante, per Scalfari, erano le confessioni fatte a lui da certi amici del Cavaliere. Veramente drammatiche e chiaramente preludio della fine. «A volte gli si rimprovera di parlar troppo, a volte troppo poco. Soprattutto dice sempre le stesse cose. Ma ci sono altri motivi d’insoddisfazione. “È incerto. Non decide. Si regola solo sui sondaggi. Non conosce i problemi. Ha scelto ministri di serie B. È mal consigliato. Non è colto”».

Insomma per quello Scalfari d’annata la conclusione era evidente: «La verità è che il Paese ha fatto un’indigestione di Berlusconi, ha puntato su di lui, ha voluto credere a tutte le sue promesse, ha sognato con lui e con lui ha perfino cantato il karaoke. E adesso? Adesso si sente dire che bisogna fare sacrifici». Spacciato, finito, bollito: «Diamo ancora un po’ di tempo a Silvio, poi ci sarà il cambio di mano», scriveva Scalfari nel ’94. Sicuro. Entro il 2030 succede.

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