Lui no. Lui non lo incontra. Si chiama Lorenzo Tomassini ed è il capogruppo del Pdl al comune di Bologna. Domani Gianfranco Fini sarà lì, in una libreria Coop a presentare Il futuro della libertà. Tomassini fa sapere allAnsa che non andrà ad ascoltarlo: «Lho sempre fatto, ma ora non condivido le sue proposte politiche, portate avanti con tanta ostinazione. Molti cittadini la pensano come me e io non voglio fare lo struzzo. Le gente ce lo chiede a tutte le riunioni che facciamo: dove vuole arrivare Fini? Come finirà questa storia?».
Questo è il clima, il segno che resta sulla pelle di questa lunga stagione di sguardi freddi e fuorionda, di «lui è morto» e di «non lo guarderò più in faccia», di silenzi e incomprensioni, di mediatori e mestatori, di sirene centriste e ragioni bipolari. È il lento inverno di Berlusconi e Fini, che sembrava non passare e ora, forse, è a un bivio, a un incrocio di sguardi, a qualcosa di nuovo. Silvio e Gianfranco oggi, più o meno mezzora dopo luna, si guarderanno in faccia, senza mangiare, senza contorni, ma solo per capire tutto quello che sta succedendo e magari metterci una pietra sopra. Non è la prima volta che lo fanno. Non sempre ha funzionato, ma ormai non ci sono tante alternative. Si arriva a un punto in un rapporto in cui davanti cè solo un sì o un no, tirare a campare non serve, i tira e molla snervano il mondo. È il momento della chiarezza.
Berlusconi e Fini ci proveranno, sul serio. Il lavoro dei pontieri, degli ambasciatori, nei giorni di Natale, dopo laggressione del Duomo, con il premier sanguinante e un clima meno da guerra civile, è servito. Tanto ha fatto Gianni Letta, giocando di sponda con il Quirinale. Berlusconi ha parlato di amore. Fini ha lasciato dietro le quinte Granata e Briguglio, affidando il lavoro diplomatico a La Russa, che in questo momento occupa nel Pdl una sorta di terra di nessuno, lì dove è più facile parlare di tregua. È lui che ha dissodato il terreno. E qualche pietra è stata tolta.
Non parleranno di grandi sistemi. È chiaro che Berlusconi vuole una stagione di riforme, tutte, compresa e soprattutto la giustizia. È chiaro che Fini cerca un ruolo, un futuro, un peso politico, unidentità. Non vuole morire berlusconiano. Ma non è da qui che si parte. Questo è un punto di arrivo. È quello che accadrà un giorno, quando la lunga transizione troverà un porto, una quiete. Prima ci sono i piccoli passi. Questioni pratiche.
Ecco allora le elezioni, quelle vicine, le regionali. Berlusconi e Fini cominceranno a parlare di questo, scriveranno sulla carta i nomi di tutti i candidati, daranno un nome alle caselle incerte e magari anche con chi allearsi. Il premier non nasconderà il fastidio per il Casini ballerino e il presidente della Camera dirà: lascialo ballare, adesso non è un problema. Berlusconi sente laria della campagna elettorale. È unemozione che ama. È il suo gioco. In questo davvero è diverso dal Fini di questi ultimi anni, luomo delle istituzioni, luomo in blu, che qualche volta si concede una gita fuori porta in jeans.
E poi cè il governo. Che fare dei sottosegretari? Ce ne sono almeno due nuovi da battezzare. Berlusconi vuole la Santanchè e lo dice. Fini si irrigidisce. Langolo della bocca si sposta verso il basso, un gesto veloce alla cravatta. È palese che non la vuole. Ma non è qui per mettere veti. Non simpunta. Non ne fa una questione di onore e di orgoglio. Fa solo presente al suo interlocutore che anche Augello merita una poltrona. Gianfranco lo ha messo fuori gioco nel Lazio, per dare spazio alla Polverini.
La via duscita dovrebbe essere questa: ok alla Santanchè, ma anche Augello sarà sottosegretario. Limportante è trovare una chiave dintesa. Le riforme vanno fatte e qui escono fuori i caratteri. Fini chiede cautela. Bisogna sentire sempre il Quirinale.
Silvio e Gianfranco al bivio È il momento della chiarezza
DIPLOMATICI La Russa e Letta hanno fatto i pontieri. Ma adesso ci vuole una chiave dintesa
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