La storia si ripete. E con una costante che a ben vedere è piuttosto curiosa. Già, perché ancora una volta Silvio Berlusconi s’è trovato all’angolo e girandosi indietro ha visto che non solo gli avversari ma anche qualche alleato già iniziava a prendere le distanze, convinto che la raffica partita a fine aprile l’avrebbe finalmente disarcionato. D’altra parte, in poco più di un mese si è passati dal j’accuse di Veronica Lario all’affaire Noemi, con chiusa di campagna elettorale in crescendo: prima le motivazioni della sentenza Mills, poi la querelle sui voli di Stato e infine l’ampio dibattito sulle fotografie a Villa Certosa poi pubblicate da El País. Chiunque altro al suo posto sarebbe andato al tappeto per knock-out tecnico, Berlusconi si è limitato a incassare i colpi. Li ha sentiti, certo, e soprattutto nella prima settimana la sua reazione è stata poco efficace e in alcuni casi anche non troppo composta. Ma poi, come già accaduto in passato, è riuscito a prendere le misure e andare al contrattacco. Seppure, e forse è questo l’unico rammarico, dopo aver concesso al tourbillon mediatico-gossipparo una bella fetta di campagna elettorale.
Ma è quella costante di cui sopra che a ben guardare la storia degli ultimi anni pare davvero curiosa. Traversata nel deserto a parte (quella del 1996-2001), Berlusconi non è certo nuovo a vedere da vicino quello che tutti fuorché lui immaginano come un baratro. E tutte le volte non solo gli avversari - per i quali un po’ d’ottimismo è certamente legittimo - ma pure gli alleati si avventurano nel darlo già per morto.
Una storia che si è ripetuta più volte da dopo la sconfitta alle regionali del 2005, quella che diede il là al rimpasto. Pier Ferdinando Casini già ragionava sul dopo Berlusconi e mandava in avanscoperta Marco Follini a menare fendenti, convinto che le elezioni dell’anno successivo avrebbero sancito la fine del berlusconismo. E - va detto a onor di verità - se il leader dell’Udc fu uno dei pochi a scoprirsi, furono tantissimi a mugugnare sottocoperta anche tra i ministri e i parlamentari più vicini al Cavaliere. Insomma, si contavano i giorni che mancavano alla caduta e si preparava il redde rationem. Come è andata lo sappiamo, con Berlusconi che ha fatto campagna elettorale praticamente da solo ripetendo come un mantra che i sondaggi davano un testa a testa tra lui e Romano Prodi. E pensare che anche a Palazzo Grazioli c’era chi ci ironizzava su. Alla fine, dopo un tour de force per tutta Italia, al pareggio Berlusconi c’è arrivato davvero, perdendo le elezioni di un soffio ma di fatto lasciando a bocca asciutta chi già si stava spartendo la sua eredità politica.
Doveva essere d’insegnamento e invece sono tutti ricaduti nello stesso errore neanche sei mesi dopo. Perché è vero che dopo l’insediamento del Professore a Palazzo Chigi per il Cavaliere non è stato un periodo facile, con l’umore sotto i piedi e il timore che alla fine il governo sarebbe riuscito a reggere nonostante quell’unico voto di maggioranza. Ma ancora una volta, passata l’estate Berlusconi s’è saputo reinventare lanciando prima la terapia shock su Forza Italia (cioè Michela Vittoria Brambilla) e poi iniziando a immaginare il Pdl tanto da depositare nome e simbolo già nell’estate 2007. Tutti a ridere un’altra volta, soprattutto quando in privato Berlusconi auspicava e annunciava la spallata a Prodi. Torna, insomma, quella costante curiosa. E questa volta è il turno di Gianfranco Fini. Mentre il Cavaliere va dritto come un treno e annuncia da piazza San Babila la fine di Forza Italia e la nascita del Pdl (è il 18 novembre 2007), il leader di An affonda il colpo: «Berlusconi? Siamo alle comiche finali». Con un corollario: la spallata non ci sarà e An non entrerà nel Pdl. All fine, però, sarà ancora una volta il Cavaliere ad avere ragione e siccome la vittoria ha capacità taumaturgiche inimmaginabili i due si riuniranno proprio sotto le insegne del Pdl.
Si arriva al voto del 2008, dove il Popolo della libertà porta a casa il 37,38% e una maggioranza schiacciante. Il Cavaliere è di nuovo a Palazzo Chigi e, va detto, solo un anno prima era forse l’unico a crederlo possibile. Ed è anche per questo, perché troppe volte e troppo presto Berlusconi è stato dato per morto, che colpisce un certo distacco mostrato da alcuni importanti dirigenti del Pdl nelle vicende dell’ultimo mese. In molti hanno preferito tacere pubblicamente e insinuare in privato, forse nuovamente convinti che si andasse verso un cambio della guardia. Il premier, invece, tiene botta. Con fatica, certo, perché le bordate arrivano da tutte le parti, dall’Italia e dall’estero. E su tutti i fronti: da quello privato a quello giudiziario. D’altra parte, più volte in privato non nasconde di temere «un complotto» ai suoi danni. E forse è anche per questo che invece di giocare un contropiede solitario rinsalda anche il già solido asse con Umberto Bossi. Non è un caso che negli ultimi giorni di campagna elettorale il leader del Pdl abbia deciso di sacrificare scientificamente qualche punto alla causa leghista, concedendo su un eventuale candidatura del Carroccio alla presidenza del Veneto il prossimo anno e stando ben attento a non affondare colpi verso l’alleato. D’altra parte, dopo lo scherzo del ’94, è dal 2000 che tra i due sono rose e fiori. Un rapporto che si è rinsaldato anche dopo la malattia del Senatùr, di cui il Cavaliere s’è preso cura molto più di quanto si sappia. E che tanto è diventato stretto da fugare anche le perplessità di mamma Rosa. «Abbiamo lo stesso cognome, ma quel Bossi non mi piace», disse dopo il ribaltone. Salvo poi nel 2001 invitare il figlio mettere da parte le incomprensioni: «Daghe un basin al Bossi». Se le proiezioni della notte troveranno conferma, sarà proprio sul rapporto con il Senatùr che il Cavaliere proverà a rilancerà l’azione del Pdl.
E come per le cose di casa nostra, anche sul fronte della politica estera Berlusconi ha saputo in questi anni giocare in contropiede. Passando dalle perplessità di molti partner europei che gli imputavano un eccesso di euroscetticismo a essere l’azionista di maggioranza del Partito popolare europeo, tanto da poter lanciare alla presidenza dell’Europarlamento l’italiano Mario Mauro. Una partita, quella in Europa, su cui peserà il numero di preferenze che Berlusconi porterà a casa.
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