Roma - Amareggiato e stanco. Ma deciso a non mollare la presa neanche poche ore, perché deve essere chiaro fin da subito che non esiste un governo del presidente visto che «fino a prova contraria» siamo ancora in una Repubblica parlamentare. È questo, nei tanti colloqui privati della giornata, il senso dei ragionamenti di Berlusconi. Che certo, nel day after delle dimissioni e delle contestazioni che lo hanno costretto a lasciare il Quirinale da un’uscita secondaria, non è propriamente di buon umore. Ma che non ha alcuna intenzione di cedere il passo senza combattere come fino a qualche ora fa pensavano in molti.
Ecco il senso dei paletti formalizzati da Alfano, Cicchitto e Gasparri durante le consultazioni al Colle. Ecco la ragione del videomessaggio del Cavaliere inviato ai tg della sera e destinato ad impattare con la prima uscita davanti alla stampa del presidente del Consiglio incaricato. Un segnale chiaro ed eloquente: io ci sono ed è con me che bisogna trattare. E il confronto inizia già a sera, quando Monti si presenta a Palazzo Chigi per un colloquio di lavoro con Berlusconi.
Sul punto il premier uscente è piuttosto chiaro in tutti i colloqui della giornata. Perché - ripete ai suoi - ho dimostrato «senso di responsabilità» e «mi sono dimesso», ma non si può pensare che il Pdl sostenga un governo senza che vi sia un confronto a tutto campo. Insomma, «o siamo interlocutori e allora siamo pronti a collaborare» oppure «se non ci considerano tali come i cinquemila scesi in piazza a insultarmi certo non daremo la nostra disponibilità». E forse, per molti versi, sono stati proprio gli slogan e le monetine di sabato sera a cambiare in qualche modo gli equilibri.
Così, quei paletti che fino a qualche giorno fa non solo il Colle e Monti - ma anche quasi tutti i commentatori politici - consideravano «irricevibili» iniziano invece a farsi strada. Non tutti, ci mancherebbe. Ma uno dei più importanti sì: nel governo non siederanno esponenti politici. Un dettaglio di non poco conto, un vulnus per un esecutivo tecnico che nasce senza una piena responsabilizzazione dei partiti che lo sostengono. Traduzione: un domani sarà più facile sganciarsi e il ragionamento vale per tutti. Con un vantaggio in più per il Pdl, che non si siede allo stesso tavolo con chi fino a ieri augurava a Berlusconi di passare a miglior vita e che può più facilmente gestire il rapporto con la Lega. Tra i paletti, però, il Cavaliere ne vuole portare a casa anche uno programmatico visto che - diceva ieri mattina incontrando alcuni giovani del Pdl - in democrazia «i governi li fa il popolo» mentre «quelli tecnici li fa lo spread». E cioè dire chiaro che l’appoggio del Pdl è vincolato alla realizzazione degli impegni presi con l’Ue sui provvedimenti anti-crisi visto che questo esecutivo nasce come conseguenza di un attacco speculativo e di una crisi dell’economia che è globale. Per il resto, dunque, mani libere. Con un Senato dove il centrodestra ha ancora saldamente la maggioranza e, anche nel caso di altri addii, avrebbe comunque numeri consistenti (come gli attuali della Camera). Ecco perché, sempre in privato, Berlusconi s’è lasciato sfuggire che - fatte salve le misure concordate con Bruxelles - il governo che nasce «dipenderà dai nostri voti» e «siamo pronti a farlo ballare». Magari per mettere in luce le tante divergenze interne al Pd o soprattutto al Terzo polo, basti pensare al lavoro o ai temi etici. D’altra parte, Berlusconi sa ormai da tempo che il Parlamento non è la Bocconi.
E pure se Casini dice che il governo Monti era deciso da giorni e tutto il resto è una sceneggiata, l’impressione della frenata è netta. Il governo Monti nascerà. Ma non stasera e non senza condizioni come pensano in molti. Perché Berlusconi si è sì dimesso ma non ha alcuna intenzione di dire «prego accomodatevi» senza prima trattare.
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