Silvio tiene duro: non finirà come con Follini e l’Udc

Silvio tiene duro: non finirà come con Follini e l’Udc

Roma - Ventiquattr’ore di pausa. Non solo per Berlusconi che, costretto dal blocco dei voli ad annullare la sua trasferta a Cracovia per i funerali del presidente polacco Kaczynski, trascorre la domenica ad Arcore in compagnia dei figli Marina e Pier Silvio. Ma anche per i pontieri del Pdl che ormai da giorni stanno cercando di trovare un punto di mediazione per evitare una rottura che al momento non sembra affatto scongiurata. Il Cavaliere, infatti, continua a usare in pubblico toni concilianti nei confronti dell’ex leader di An, ma in privato ripete che a Fini non ha «nulla da offrire». Anche perché, è il senso del suo ragionamento, «davvero non si capisce cosa vuole».

Il punto, secondo il premier, è che pure le questioni politiche messe sul tavolo sono «generiche» e senza soluzione. Dal rapporto con la Lega («ma quale sudditanza, non c’è stata una volta che Bossi ci ha creato una grana su un provvedimento...») alla politica per il Sud («siamo o no il governo che ha portato via i rifiuti da Napoli?»). Se invece il punto è l’organigramma del Pdl, su questo Berlusconi è stato chiaro da subito, non ci sono margini. Perché, è la convinzione del Cavaliere, qualunque concessione fra un mese sarebbe archiviata e si ricomincerebbe con la solita storia del controcanto. Insomma, con Berlusconi che dice bianco e Fini che chiosa nero. D’altra parte, raccontava nei giorni scorsi il premier, «sono uno che impara dagli errori». E quello fatto nel 2001-2006 con Marco Follini e l’Udc non deve ripetersi. Allora, a forza di far concessioni alla discontinuità la maggioranza si consumò e si indebolì al punto di perdere le elezioni. E da questo punto di vista lo spettacolo andato in onda venerdì sera su Raidue durante L'ultima parola è stato un segnale inequivocabile.

«La violenza con cui Bocchino e Urso se la sono presa con Lupi - commenta in privato il premier - è inaccettabile, uno spettacolo schifoso che ci ha fatto perdere in pochi minuti centinaia di migliaia di voti». Insomma, è chiaro che «così non si va avanti».
Margini di manovra, dunque, sembrano essercene pochi. Perché, ripete ai suoi Berlusconi, «se Fini vuole andar via posso dispiacermi ma non certo costringerlo a restare».

Il punto, dunque, è capire dove metterà l’asticella il presidente della Camera. Perché se da una parte il pranzo dei senatori finiani di sabato si è concluso con un deciso passo indietro sull’ipotesi del gruppo autonomo, dall’altra ancora ieri Bocchino paventava «il rischio rottura» contando dalla sua «quaranta deputati e venti senatori». Curioso, visto che sabato a firmare il documento che appoggiava Fini - ma escludeva l’ipotesi scissione - i senatori erano solo in 14. La verità è che probabilmente il presidente della Camera - pur dicendo ai suoi di essere «disposto a fare il kamikaze» - non ha ancora deciso quale strada imboccare. Il giorno clou, insomma, resta giovedì prossimo. Quando alle dieci di mattina si riunirà all’Auditorium di via della Conciliazione la direzione del Pdl, organismo composto da 170 persone (allargato ai parlamentari, circa 600 gli invitati). Lì Fini terrà il suo intervento e si capirà davvero se le distanze sono ormai incolmabili o se c’è qualche spiraglio. Su cui, appunto, lavorano alacremente le diplomazie, che stanno studiando eventuali documenti che potrebbero essere approvati giovedì.

Insomma, spiega Osvaldo Napoli, «se l’obiettivo di Fini è dare una curvatura diversa alle politiche del governo, è importante che torni a parlare di politica e si faccia sentire nel partito accettando il rischio della democrazia interna».

Un modo per concedere all’ex leader di An un’uscita «onorevole», formalizzando in qualche modo il suo ruolo di leader della minoranza interna del Pdl. Anche in vista del congresso che dovrebbe tenersi tra un anno. Quella sì sarà l’occasione per mettere mano agli organigrammi e affrontare i nodi politici sul tavolo. Ovviamente dopo la consueta conta congressuale.

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