Cronaca locale

Via Simonetta, esplode la rabbia «Siamo ostaggi degli abusivi»

Gli inquilini: «È una situazione che va avanti da dieci anni, dobbiamo convivere con sporcizia e rumori. E rischiamo le botte»

Roberto Bonizzi

«La situazione è così da dieci anni. Tutti sanno come stanno le cose. Ma nessuno fa nulla». Rabbia, disperazione, sconforto nelle parole dei residenti di via Cicco Simonetta, una strada lunga poche centinaia di metri nel centro di Milano. A cinque minuti da corso Vittorio Emanuele e dalla storia. A due passi dalle colonne di San Lorenzo e dai Navigli, dal nuovo che avanza. Da via De Amicis si imbocca a fianco di corso Genova. Case alte, signorili, ridipinte di fresco. Bisogna arrivare in fondo per scoprire i problemi. «Per noi è un fatto che non ha più nulla di straordinario, ci siamo abituati a convivere con la sporcizia, la puzza, le botte, i rumori a qualsiasi ora del giorno e della notte».
I «coinquilini» difficili sono quelli del civico 19. La stima presa per ufficiale parla di 300 uomini, tutti egiziani, con un’età tra i 20 e i 30 anni. È la seconda generazione di occupanti abusivi dello stabile. Due costruzioni gemelle con l’ingresso in comune, un cortile e qualche albero nel mezzo. Il primo palazzo, quello più interno che non si affaccia sulla strada, oggi è un cantiere. Da dieci mesi è in ristrutturazione. Nella città che ha fame di nuovi appartamenti un palazzo in centro completamente rinnovato può fare la felicità di un immobiliarista. «Noi - raccontano i “vicini di casa” degli egiziani - ci siamo informati sul prezzo e vorrebbero 5mila euro al metro quadro per lo stabile più interno, 6mila per quello sulla strada. Adesso forse siamo già a 6 e 7mila. Certo che finché questi restano qui, e sono dieci anni che non si muovono, chi vorrà venire ad abitare in via Cicco Simonetta? I nostri appartamenti si svalutano».
Dal cortile della casa vicina si riesce ad arrivare fin sotto le finestre dello stabile occupato. Già la facciata sulla strada sembra una testa vittima di un barbiere pazzo. Gli infissi sono finiti chissà dove. Al posto delle finestre ci sono cartoni, pezzi di plastica, coperte. Oppure due occhi attenti che fissano i movimenti in strada. Il fortino ha le sue sentinelle sempre di guardia. All’interno i muri sono come scorticati. Non c’è intonaco, calce e mattoni si sgretolano. Un «edificio pericolante». «Il Comune lo ha chiuso già diversi anni fa - raccontano i residenti -. Ma questi ritornano sempre, c’è una rotazione incredibile, ma sono sempre qui. Avevano messo le transenne, ma le usavano per picchiarsi, hanno dovuto portarle via». Le balconate a ballatoio corrono lungo tutto l'edificio, sorrette da due putrelle di acciaio massiccio. È quello che rimane del puntello dell’edificio. In fondo ai balconi, a ogni piano un lavandino di pietra: è il bagno comune. Da questa parte qualche porta resiste. Finestre poche, biciclette nascoste, vestiti stesi ad asciugare, e agli ultimi piani, una serie di parabole per la televisione satellitare. I rapporti di vicinato non sono idilliaci e infatti dopo qualche minuto sulla testa piove uno spazzolino da denti. «Gli sguardi curiosi non sono graditi. Qualche settimana fa è stato anche aggredito e picchiato il giovane che dirige i lavori del cantiere dello stabile di fronte.

All’inizio sabotavano in continuazione i lavori, ora hanno smesso».

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