Roma

Sinagoga, l’attentato 25 anni dopo

Domenica scorsa davanti alla Grande Sinagoga è stato inaugurato da Veltroni largo Stefano Gaj Tachè, in memoria del bambino ucciso in quel luogo nell’attentato del 9 ottobre del 1982.
Una cerimonia che ha ricordato il venticinquesimo anniversario di uno dei giorni più tristi per la comunità ebraica romana, colpita dal terrorismo arabo. Era un sabato mattina, giorno di festa per gli ebrei, e mentre questi uscivano dalla funzione religiosa, i terroristi dell’Olp tirarono granate sulla folla: 37 i feriti, di cui alcuni in condizioni gravi, mentre restò ucciso Stefano, che aveva soltanto due anni. «È importante ricordare che l’attentato fu l’apice di un crescendo - spiega il vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici -. In Italia in quegli anni maturò un clima ostile verso gli ebrei. Così i terroristi trovarono terreno fertile, in un Paese in cui i politici dispensavano abbracci al leader dell’Olp Yasser Arafat, proprio pochi giorni prima dell'attacco terroristico».
Era infatti il 1982 l’anno della strage di Sabra e Chatila e l’opinione pubblica e buona parte del mondo politico italiano puntarono il dito contro Israele, dunque contro gli ebrei. Il 25 giugno dello stesso anno i sindacati nel corso di una manifestazione scandita da slogan antisemiti, scaraventarono una bara davanti alla Sinagoga. Poi arrivarono gli abbracci e le strette di mano dei politici a Yasser Arafat, che pochi giorni prima della strage alla Sinagoga era in visita a Roma. Erano tutte avvisaglie. L’incantesimo si stava rompendo e tornava di nuovo l’antisemitismo, questa volta però mascherato da antisionismo. Gli ebrei romani lo sapevano bene e avvertivano il presagio di un imminente pericolo, così il Rabbino Capo Elio Toaff chiese al ministero degli Interni maggiore sicurezza alla Sinagoga per quei giorni di festa. Una richiesta che non venne mai ascoltata.
In questo clima si consumò la tragedia del 9 ottobre 1982. Subito dopo l’attentato iniziò a circolare nel Ghetto un volantino redatto dai giovani studenti ebrei: c’era scritto «Grazie!», ed era rivolto con amara ironia al mondo politico e all’opinione pubblica. L’11 ottobre il consigliere comunale Bruno Zevi pronunciò un memorabile discorso in Campidoglio a nome della Comunità ebraica, davanti al sindaco di allora, Ugo Vetere. Erano parole dure che accusavano in modo esplicito la classe politica e sindacale in un’Italia «che manda i bersaglieri in Libano per proteggere i palestinesi, ma non difende gli ebrei italiani», e chi non ha saputo evitare la tragedia preannunciata. Il giorno seguente si svolsero i funerali di Stefano Gaj Tachè. Migliaia di persone andarono davanti alla Sinagoga per l’ultimo saluto alla piccola vittima. «Da quel giorno sono cambiate molte cose all’interno della nostra comunità - conclude Pacifici -.

Largo Stefano Gaj Tachè è il simbolo di quel 9 ottobre di venticinque anni fa, una tragedia che non dobbiamo e non vogliamo dimenticare».

Commenti